PAOLA ANNONI viaggiatrice e scrittrice St Louis è una città in cui fermarsi, per una serie di motivi che potrebbe essere pressoché infinita, ma capitanata decisamente da uno: la frozen custard di Ted Drewes, un gelato (non è proprio gelato, è più pesante!) così buono e cremoso che ancora me lo sogno di notte. Ma partiamo dall’inizio. St Louis è una città indipendente del Missouri, (cioè non risponde a nessuna contea ma solo allo stato) lo stato in cui sono stati inventati il cono gelato (1904), il tè freddo (anche se non so bene come si possa “inventare” una cosa che prima è semplicemente calda!), la 7-up (la concorrente della Sprite) e soprattutto il burro di noccioline (ho trovato informazioni che dicevano “inventato” altri riportavano la dicitura “scoperto”…) ed è il posto in cui il consumo pro capite di salsa BBQ è più alto che in qualsiasi altra città americana. Quindi sì, a St Louis, è un posto in cui fermarsi a mangiare bene e tanto. Appena arrivati io ho imposto che si andasse a mangiare lontano da BBQ e da posti in cui potessero servirmi costine o carne in generale, e ho scelto (come mio solito), un ristorante vietnamita. Il Pho Grand è decisamente buono e davvero vietnamita, visto che il profumo del pho mi ha quasi commossa e il conto era sulla stessa lunghezza d’onda. Economico e buono. Self five per me! Ma la cena in realtà era tutta una preparazione al gran finale della giornata: la tanto attesa frozen custard di Ted Drewes, celebre per essere nella punta finale della Route 66 ed avere la fama di miglior frozen custard EVER. Effettivamente è divina. Io – per stare leggera – ho optato per butterscotch con pezzi di noci pecan. Te lo danno in un bicchiere della bibita, ancora più cremoso di quando fai la pappetta col gelato un po’ molle. Cremoso, dolce, denso. Da impazzire. Ne abbiamo provato un altro. E io avrei passato la serata lì. La mattina dopo, anche se era sabato e quindi tradotto significa “giornata in cui tutti i genitori con bambini si muovono da casa”, abbiamo scelto di fare una tappa allo Zoo visto che è-incredibilmente- gratuito. Ovvio, poi paghi un gelato il costo di una cena di pesce, però se non consumi nulla e non ti convincono a comprare un peluche a forma di koala ad ogni passo… E’ comunque un’attività a costo zero! Lo zoo è bellissimo e gli animali sembrano davvero tenuti bene. Ecco, magari la parte sulle bestioline che vivono in casa con te e che ti ricordano “che non sei solo in casa” me la sarei evitata: almeno per non continuare ad alimentare le mie fobie. Lo zoo è di per sè enorme ed è inserito in un gigantesco e ricchissimo parco chiamato Forest Park che, tanto per capirci, è più grande di Central Park di ben 2 chilometri quadrati. E’ stato aperto nel 1876 e si mantiene alla grande, e ovviamente ci si potrebbero passare intere giornate dato che al suo interno si trovano tantissime attrazioni come il museo d’Arte di St.Louis, quello delle scienze (con Planetario), un teatro all’aperto (The Muny), un museo di storia del Missouri, un campo da Golf, tennis, noleggio biciclette e … Ovviamente tantissimi punti di ristoro. Tappa decisamente imperdibile. Ma visto che avevamo una singola giornata per visitare la città abbiamo dedicato pochissimo tempo al parco, ci siamo rimessi in macchina decisi a girare a zonzo per la città e respirarne almeno un po’, la piacevole aria da cittadina americana. Perché è questo che mi è piaciuto tantissimo della città: anche se ha più di 300.000 abitanti ha in buona parte ancora quell’aria da paese “un po’ troppo allargato”. Giriamo per quartieri residenziali e decidiamo di fare due tappe insolite: ci fermiamo a mangiare una pizza in uno dei tanti punti vendita di Imo’s, celebre catena conosciuta per la famosa Thin Crust pizza, tipica della città. Le caratteristiche? Crosta sottile e non lievitata (a differenza della Deep dish di Chicago o quella di New York, sottile ma con il lievito… E che decisamente assomiglia a quella che noi chiamiamo pizza) e guarnita con qualsiasi cosa un pizzaiolo trovi nel frigorifero oltre ad un formaggio – Provel – al posto della mozzarella (per curiosità, googolatelo). Allora, io non sono napoletana a e quindi di pizza ne so nei termini di una persona nordica che mangerebbe questo piatto per colazione pranzo e cena per il resto dei suoi giorni. Ma questa non è pizza. Proprio è quanto di più lontano esista dal piatto italiano. Oltre al fatto che il formaggio si attacca violentemente ai denti e serve uno scalpello per levarselo. La base di pasta è, in realtà, solo un supporto per un carico eccessivo di condimenti pesantissimi. Bocciata, tristemente. La prima pizza che ho mangiato negli States (sì, giuro, la prima mai mangiata in 100 giorni!) era assolutamente, terribile. Riprendiamo la macchina e facciamo un giretto sulla “Hill”, la collina riservata alla Little Italy della città: decisamente nulla di che… A parte che le strade disastrate mi facevano sentire decisamente a casa. Con una dose extra di cipolla non richiesta abbiamo girato la macchina verso una delle attrazioni imperdibili per gli amanti della birra e non: la fabbrica della Budweiser. La Anheuser-Busch è una gigantesca, enorme, incredibile macchina che funziona a ciclo continuo: un’organizzazione del genere l’ho vista solo nella casa – museo di Elvis, Graceland. Tu entri, ti danno il biglietto del colore del tour, ti chiamano, ti portano nelle stalle dei cavalli (ok, questa parte non l’ho capita), giretto nella fabbrica, documentario e via.. A ciclo continuo, gentili ragazze ti spiegano tutto e ti portano dove potrai scegliere che birra degustare. La tua esperienza nella celebre birreria è offerta per soli 10$. E’ enorme, un’industria pazzesca e tutto è programmato maniacalmente al secondo. Affascinante. Per il pomeriggio ci siamo tenuti lui, il pezzo da 90, il simbolo della città: Il Gateway Arch. Chiamato anche Gateway to the West, è il più alto monumento dell’emisfero settentrionale, e ai miei occhi il fato più stupefacente è che sia stato costruito tra il 1963 e il 1965, anche se sembra davvero modernissimo. E’ stupendo, soprattutto al tramonto. La domanda è, salire o non salire? No, non salite. Non fatelo. State giù guardatelo dal basso e immaginate quanto potrebbe essere bello salire e vedere tutto dall’alto. Non salite realmente, fatelo con l’immaginazione. Adesso vi spiego perché. Partite dal presupposto che viaggio con un ingegnere. Uno che mi porta a vedere, ponti e dighe e sospira e che è quasi riuscito a affascinarmi totalmente (ho detto quasi eh!) che l’architettura di alcune case è meravigliosamente bella. Tradotto significa che la discussione non è nemmeno stata aperta: si sale. Ma non è così semplice. C’è il biglietto per salire abbinato ad un film su Lewis & Clark – i due famosi esploratori – oppure un pallosissimo documentario (ovviamente girato negli anni ’60) sulla costruzione passo a passo di questa splendida struttura. PASSO DOPO PASSO. Una noia mortale con il ritmo brillante della Corazzata Potëmkin. Gianni, ovviamente, era entusiasta. E così sono passati 40 minuti. Io almeno li ho trascorsi dormendo beatamente… per una buona parte. Abbiamo poi aspettato gironzolando per il museo del Visitor Center, decisamente grande ma… Non abbastanza grande per occupare un’ora intera. E poi, con molta molta calma ci siamo messi in fila per la salita nell’orario scritto sul biglietto. Una lunga, lunghissima coda in cui l’unica attrazione divertente in un’ora di attesa (oltre alle disegnatissime unghie della ragazza che ci metteva in fila) è stato vedere un signore che assomigliava tantissimo a mio padre, ma in versione Hippie. Dall’ingresso al visitor center al momento in cui abbiamo appoggiato il sedere nella cabinovia che porta in cima sono passate esattamente 2 lunghissime ore. La salita corrisponde più o meno a questo. Ti metti in fila su in quattro per gradone e sia aprono le porte di queste minuscole gabbiette di ferro (ovviamente senza finestre) e tu ti devi infilare dentro. Non conta se siete quattro rugbysti o 4 nani, tu ci devi stare. Ho capito cosa prova il mio piumone quando a tutti i costi cerco di farlo entrare in lavatrice. E poi si chiudono le porte in maniera sinistra, con un “clangk!” assordante. Comincia la salita. Tre lunghi minuti di rumori agghiaccianti. Ovviamente essendo una costruzione del 1965, al tempo, non avevano grandi tecnologie, e la cosa più pratica era, evidentemente, una cerniera e una catena (tipo bicicletta per intenderci) e una salita a scatti in cui, anche se non sei claustrofobico, ti manca l’aria. E poi dici: “ ho fatto due ore di coda, ho dovuto godere dell’ascella di una famiglia di indiani, sono stata rinchiusa qua dentro… Beh, il premio sarà super!” E invece… Arrivi in alto e ci sono queste piccole finestrine, da cui si vede poco, perché, ovviamente, non sono un granchè pulite. Gente che si fa selfie con entusiasmo e io che mi chiedo se saranno soddisfatti di questa parete sullo sfondo. Noi abbiamo beccato un tramonto decente e, ammettiamolo, la vista sulla città è stupefacente (se non c’è foschia). Ma non ne vale la pena se avete poco tempo… Ho avuto la netta sensazione che avremmo potuto impiegare il tempo in tutt’altro modo. Non salite. State sotto, godetevi la meraviglia, toglietevi le scarpe nel parco e godete del tramonto, respirate a fondo. St. Louis è bella, dedicatele tempo.
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Fucsia Nissoli (FI): Ridare la cittadinanza a chi l'ha persa in seguito a espatrio nello ius scholae6/22/2022 SALVATORE VIGLIA corrispondente “Oggi sono intervenuta nell’Aula di Montecitorio, dopo essere già intervenuta in Commissione affari esteri, sul tema della cittadinanza per esprimere la mia delusione per l’esclusione del riacquisto della cittadinanza dall’esame dello ius scholae.
Tra le forze politiche c’è qualcuno che sostiene che non si può allargare l’orizzonte dello ius scholae a chi vive all’estero ma la condizione di fatto di tanti italiani è la stessa degli immigrati che hanno studiato qui e cioè scuola in Italia e mancanza di cittadinanza. Allora perché non permettere anche a loro di riacquistare la cittadinanza italiana visto che sono già italiani di fatto? Vogliamo che gli italiani di fatto si possano sentire italiani a tutti gli effetti e quindi anche secondo il diritto, invito tutti a cogliere questa opportunità, in questo momento servono coesione e responsabilità!” Lo ha dichiarato l’on. Fucsia Nissoli Fitzgerald, deputata di Forza Italia eletta in Nord e Centro America, intervenendo nell’Aula di Montecitorio. FRANCESCA LA MARCA Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America Il 15 giugno la Commissione Affari Esteri della Camera ha iniziato l’esame, in sede consultiva, del provvedimento che reca modifiche alla legge n. 91 del 1992 in materia di cittadinanza italiana. La Commissione, infatti, è tenuta ad esprimere il proprio parere sulla proposta attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali.
La relatrice Di Stasio ha illustrato il provvedimento che dovrebbe arrivare in Aula per la fine di giugno. Giova ricordare che il testo in esame punta esclusivamente ad introdurre una nuova fattispecie di cittadinanza orientata al principio dello ius scholae con l’obiettivo di garantire la cittadinanza italiana ai minori stranieri nati in Italia che abbiano risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese e abbiano frequentato regolarmente uno o più cicli scolastici. La relatrice, ai fini delle competenze della Commissione, ha voluto richiamare l’attenzione dei commissari sui diversi temi che, pur non rientrando nel perimetro della riforma in discussione, riguardano la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis per i nati all’estero e il riacquisto della cittadinanza italiana. Su questi temi, del resto, sono stati presentati numerosi emendamenti ancora all'esame della Commissione Affari Costituzionali. L’on. La Marca, intervenuta nel corso della discussione, ha auspicato che il parere della Commissione Affari Esteri esprima un orientamento favorevole anche sulla possibilità di riacquisire la cittadinanza italiana da parte di coloro che l’hanno perduta. “Gli emendamenti che ho presentato in Commissione Affari Costituzionali – ha sottolineato l’on. La Marca – riguardano aspetti particolari e circoscritti. Due emendamenti affrontano la perdita della cittadinanza da parte delle donne che hanno sposato uno straniero prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Chiedo, in sostanza, di adeguare la normativa ai principi riconosciuti da tutta una serie di sentenze, consentendo di fare un passo in avanti sul piano della parità di genere e permettendo ai figli di queste donne, nati prima del 1° gennaio 1948, a loro volta, di poterla riacquisire. L'altro emendamento riguarda chi è nato in Italia e che, dopo essere emigrato, ha perduto la cittadinanza italiana perché ha dovuto assumere per ragioni di lavoro e di vita la cittadinanza del Paese di residenza. Con l'emendamento chiedo che questi cittadini possano riacquisirla senza dover soggiornare in Italia per almeno dodici mesi, come prevede la legge attualmente in vigore, ma presentando l’istanza direttamente al consolato di riferimento". “La Commissione Affari Costituzionali – ha ricordato la deputata democratica a margine della riunione - ha deciso di accantonare, tra gli altri, anche questi emendamenti. Questa decisione è stata presa con l’obiettivo di raggiungere in tempi brevi un testo condiviso e di dare al nostro Paese una norma di civiltà assolutamente non rinviabile. Una riforma che condivido con convinzione. Tuttavia, non posso non rilevare che questa occasione dovrebbe essere utilizzata anche per risolvere questioni altrettanto urgenti che aspettano da tempo una soluzione. Sottolineo con forza che i cittadini nati in Italia, che sono stati costretti ad emigrare alla ricerca di un futuro migliore e che hanno dovuto rinunciare alla cittadinanza italiana, hanno il diritto di poterla riacquisire, inoltrando la domanda direttamente ai consolati senza tornare obbligatoriamente in Italia. È assurdo che questi italiani siano costretti a rinunciare perché impossibilitati a muoversi per motivi di salute, familiari ed economici. Sollecito, dunque, la Commissione Esteri, nel proseguo dei suoi lavori sulla materia, ad esprimere un orientamento favorevole a queste problematiche e agli emendamenti che rappresentano un atto dovuto e giusto nei confronti dei nostri emigrati”. MARIO LETTIERI & PAOLO RAIMONDI ItaliaOggi.it Che la pandemia e la guerra in Ucraina abbiano causato grandi turbolenze economiche globali non è in discussione. Non è vero, però, che siano le sole cause dell'inflazione nel mondo e dell'incipiente recessione economica. Non si può nascondere sotto il «tappeto» della pandemia e della guerra tutta «l'immondizia speculativa finanziaria» che ci trasciniamo da decenni. Anche i recenti avvisi di crisi fatti da alcuni esponenti della finanza non devono trarre in inganno. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, si aspetta «un uragano economico» provocato dalla riduzione del bilancio della Fed e dalla guerra in Ucraina. Lorsignori sono preoccupati della bolla finanziaria che hanno creato più che delle sorti dell'economia. È come il grido di un drogato che non ha più accesso alla droga.
Basta analizzare il bilancio della Federal Reserve per comprendere meglio il problema. Dai 900 miliardi di dollari precrollo della Lehman Brothers, esso era arrivato a 4.500 miliardi nel 2014. C'è stata un'imponente immissione di liquidità per salvare il sistema. Poi, dall'inizio della pandemia si è passati da 4.100 agli attuali 9.000 miliardi di dollari. Più del doppio in due anni! Questo comportamento è stato replicato dalla Bce e dalle altre banche centrali. Negli Usa una parte rilevante è andata a sostenere «artificialmente» le quotazioni di Wall Street e i corporate debt, cioè i debiti delle imprese spesso vicini ai livelli «spazzatura». A ciò si aggiunga la politica del tasso zero e negativo che ha favorito l'accensione spregiudicata di nuovi debiti, con il rischioso allargamento del cosiddetto «effetto leva», e ha generato titoli, pubblici e privati, per decine di migliaia di miliardi a tasso d'interesse negativo. Di fatto la Fed, e in misura minore le altre banche centrali, è diventata una vera «bad bank». L'impennata dell'inflazione ha reso il loro accomodante modus operandi non più sostenibile. L'aumento del tasso d'interesse e la riduzione dei quantitative easing stanno facendo saltare il banco. Anche la narrazione della crescita dell'inflazione non regge. Non basta sostenere che sia l'effetto degli squilibri generati dalla ripresa economica e dalla guerra. Sarebbe stupido negarne l'effetto. La narrazione, però, fa sempre perno sul meccanismo «imparziale e oggettivo» della domanda e dell'offerta. Cosa che però non si è pienamente manifestata con la diminuzione dei prezzi quando la domanda era scesa all'inizio del Covid. Nei mesi della pandemia non c'è stata una smobilitazione industriale mondiale tanto grande da giustificare le forti pulsioni inflattive generate da una modesta ripresa economica e dei consumi. Anche il rallentamento delle «catene di approvvigionamento» è stato esagerato da una certa propaganda interessata. Occorre mettere in conto l'effetto dell'enorme liquidità in circolazione e la necessità per il sistema finanziario di generare a tutti i costi dei profitti, anche con la speculazione. Ecco alcuni dati per una più corretta valutazione dell'inflazione. Riguardo all'indice dei Global Prices of Agriculture Raw Materials, le derrate alimentari, la Federal Reserve Bank di St Louis riporta che mediamente era di 91 punti ad aprile 2020, 114 un anno dopo e 123 ad aprile 2022. Il prezzo del petrolio Wti, che era 18 $ al barile ad aprile 2020, aveva già raggiunto i 65 $ un anno dopo. A maggio 2022 superava i 114 dollari. Simili andamenti sono riportati dal Fmi per l'indice delle commodity primarie che sale progressivamente dai 60 punti del 2020 per poi crescere vertiginosamente negli ultimi mesi fino a raggiungere i 150 punti. Evidentemente gli effetti della guerra e delle sanzioni incidono non poco sull'impennata dei prezzi di detti prodotti. L'indice dei prezzi dei fertilizzanti della Banca mondiale, che nell'aprile 2020 era 66,24 a dicembre 2021 era esploso a 208,01. L'aumento del 60% negli ultimi due mesi del 2021 ha devastato gli agricoltori di tutto il mondo. Ancora una volta la fa da padrone la speculazione. È singolare che si chieda l'immediata sospensione delle attività belliche e non s'intervenga contro la speculazione i cui effetti devastanti si riverberano a livello globale. |
AuthorsGiovanna Leopardi Year
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