Elizabeth Bernhardt, PhD, intervista Danilo Caracciolo, regista a Bologna Come hai deciso di fare il tuo mestiere e come hai imparato a fare cinema? Da bambino ero un grande fruitore di televisione, quando ancora la tv pubblica era di servizio e non commerciale. C’era un’altissima qualità e, in particolare, la mia generazione veniva forgiata dai documentari di Folco Quilici e dagli sceneggiati, l’equivalente delle odierne series. Essi vantavano la presenza di grandi attori provenienti dal teatro di livello nazionale e internazionale, come Alberto Lupo, Ugo Pagliai, Gian Maria Volontè, Valeria Moriconi, Bekim Fehmiu, Irene Papas, Enrico Maria Salerno, Gino Cervi, Lina Volonghi, Nino Castelnuovo, solo per citarne alcuni. Molti autori e registi erano, inoltre, figure di altissimo livello culturale, che si sentivano investiti del dovere deontologico di diffondere valori e principi in cui si riconosceva l’Italia del dopoguerra, come la Costituzione, la Resistenza e l’antifascismo. Ad esempio, quando ci si avvicinava alla celebrazione del 25 aprile, la tv pubblica trasmetteva decine di film, documentari e sceneggiati che avevano come tema le vicende della Resistenza e della lotta al nazi-fascismo, cosa inimmaginabile oggi. Le giovani generazioni di allora potevano addentrarsi in quell’esperienza grazie alla splendida dialettica narrativa di maestri come Lizzani, Rosi, Risi, Germi, De Sica e tanti altri. Diveniva l’atto di fondazione della propria coscienza critica, il cinema e la tv contribuivano a prendere una posizione, indicando, senza filtri, quale fosse quella sbagliata. Al pari della letteratura, i media sancivano la costruzione di consapevolezze, inculturazione. Con l’avvento delle tv commerciali negli anni 80, tutto ciò è tramontato e si è aperto il baratro liberista responsabile della deriva sub-culturale del presente, un presente in cui la cultura è intesa più come un ostacolo che come un prerequisito indispensabile per lo sviluppo di una società più equa, responsabile ed ecosostenibile. L’audiovisivo è stato per me una scelta inaspettata, dettata più dall’ impeto creativo che altro. Ho una formazione artistica, afferente alla scenografia teatrale ed alle arti figurative. L’urgenza narrativa ha fatto il resto. Nel 1997, sentì, infatti l’impulso di rappresentare ciò che sentivo e vedevo con un nuovo strumento: la videocamera. E i risultati furono immediati, perché il primo cortometraggio che realizzammo (“Tragos”) ottenne dei riconoscimenti. Da quel momento, capii che potevo addentrarmi in quel mondo autoriale, pur non avendo frequentato il Dams. La passione e la dedizione per ciò in cui crediamo, produce risultati sorprendenti e credo che tutti dovrebbero avere la possibilità nell’unica vita che hanno a disposizione, a maggior ragione i più svantaggiati, di abbandonare gli steccati, come li definisce Ken Wilber, per dare spazio alle proprie aspirazioni concedendosi l’opportunità di osare. Hai avuto un maestro particolarmente importante per tuo cammino? Com’era? Purtroppo non ho avuto la fortuna di avere un maestro, Mi sarebbe piaciuto molto poter iniziare come assistente in una produzione diretta da un grande regista, ma ero obbligato a lavorare per sopravvivere ed ho dovuto rinunciare a questa opportunità. All’inzio, la mia scuola è stata l’autoformazione, unitamente all’incontro stimolante con molte persone di spessore, che hanno contribuito ad ottimizzare il mio sguardo, ad affinarlo. Da politici e storici illuminati, passando per registi, autori, maestranze e attori. Tutti coloro che ho incontrato mi hanno insegnato qualcosa. Poi, ovviamente, le esperienze lavorative hanno fatto il resto, come l’attività di comunicazione istituzionale e video giornalismo, la formazione che ho condotto come docente sull’audiovisivo per anni, l’università. Noto che lavori molto su argomenti bolognesi—quanto è importante il luogo in cui vivi per il tuo lavoro? Raccontaci la tua storia. Ti racconto un aneddoto: molti anni fa, in occasione di una presentazione al cinema di un mio lavoro sulla Resistenza bolognese, un critico cinematografico affermò pubblicamente: “sorprende che queste vicende bolognesi siano state raccontate, oggi, da un regista napoletano”. Sia pur lusingato per il primato, contestai la sua affermazione, dichiarando che “i temi della Resistenza non hanno confini e sono, più di ogni altro valore, universali e non hanno nemmeno un tempo prestabilito per essere rappresentati in quanto eterni. Il trasferimento a Bologna non è stato solo dettato dall’opportunità di lasciare il sud, che non offriva prospettive, ma anche da sentimenti e aspettative politiche e culturali. Una scelta dettata anche da contaminazioni familiari. Mio zio si trasferì in questa regione negli anni 70 per affinità generazionale e culturale, sospinto dagli ideali di quell’epoca, in cui Bologna svolgeva un ruolo centrale nel panorama politico e culturale con una chiara connotazione a sinistra. Mi esortava a fargli visita e, durante le chiusure scolastiche estive ed invernali, lo raggiungevo da Napoli, dove vivevo. In queste occasioni, mi trasmetteva i suoi valori e il suo immaginario di società ideale che, a suo parere, solo a Bologna si sarebbe potuto concretizzare, compartecipando attivamente ad un progetto alternativo di società. Negli anni ebbi modo di conoscere amici, entrare gradualmente nel tessuto sociale fino al trasferimento definitivo nel 1987. Questa città è stata un contenitore sperimentale per un modello fattivo di società, non solo utopistico. Gli amministratori illuminati che provenivano da venti anni di dittatura fascista e che presero parte alla Lotta di Liberazione, in primis il sindaco Giuseppe Dozza in carica dal 1945 al 1966, avevano dato vita ad un welfare di impostazione scandinava, socialdemocratico, piuttosto che rigidamente socialista. Difatti negli anni 60 il modello bolognese fu studiato negli Stati Uniti e oltremanica perché veniva riconosciuto universalmente giusto. In un articolo del New York Times del 1961, l’inviato riconobbe a Dozza il ruolo di amministratore capace e umano, persino per i suoi nemici, lodandolo per la ricostruzione morale e materiale della città e per la creazione di un welfare avveniristico unico al mondo. Il cronista statunitense non si capacitava, affermando: “com’è possibile che Bologna è così democraticamente ben amministrata se il sindaco Dozza è un comunista ortodosso?” Hai trovato argomenti molto particolari per i tuoi documentari. Come si potrebbe categorizzare il corpo del tuo lavoro? (il lavoro sul sindaco a Dozza; la storia delle mondine; la storia della fondatrice dei nidi comunali; le case del popolo in Italia ed altrove…) Insomma come trovi i tuoi soggetti ed argomenti? Decisi di approcciare al documentario per dovere civile. Lo consideravo un atto di militanza, visto che le mutazioni storico-sociali avevano lasciato un vuoto identificativo in chi, come me, si collocava in una specifica area politica e culturale. Dunque, ho sentito l’esigenza di dare il mio contributo alla necessaria opera di tutela della memoria, con altri strumenti. Questa è una regione che ha pagato caramente l’avversione al nazi-fascismo durante la seconda guerra mondiale, non si potevano lasciar cadere nell’oblio le vicende, spesso drammatiche, che hanno segnato la storia di questo territorio e di quelle generazioni. Ho voluto raccontare la storia sociale di riscatto che è nel dna dell’Emilia Romagna, delle sue genti che un tempo si riconoscevano nel cooperativismo e nell’unione di intenti, nella prossimità e solidarietà, nel sacrificio contro le ingiustizie e nella lotta per i diritti. Purtroppo un abisso separa quella stagione dal presente. Hai fatto tanti film su momenti difficili a Bologna (la Resistenza, la seconda guerra mondiale, ecc.) Quale consideri il più importante? Parlaci un po' della tua opera, per favore. Sono affezionato a tutte le mie opere. Quello che mi gratifica di più è il ricordo dell’adesione del pubblico in determinate occasioni, la commozione e l’indignazione, quel senso comunitario partecipato, i battiti di mani ad accompagnare le colonne sonore, ad esempio su brani epocali come “Stalingrado” o per le meravigliose melodie di uno dei miei migliori amici, Roberto “Sacco” Secchi, prematuramente scomparso 10 anni fa e che mi manca molto. Ricordo che i miei docufilm dedicati ai temi resistenziali e sociali, scaturivano un grande entusiasmo in città, sono stati occasione di coesione tra più realtà culturali. Ad esempio, quando c’era una proiezione, gli spazi antistanti ai cinema si riempivano di associazioni, gruppi e bande musicali, rappresentanze delle istanze sane della città, tanta gente festante e partecipe che veniva ad offrire il proprio contributo alla giornata e ai protagonisti presenti in sala, spesso partigiani, con balli, danze, cori, poesie. Una dimensione compartecipata popolare che rimpiango. Com’è la cultura del cinema a Bologna? Com’è il programma del DAMS e delle scuole di cinema bolognesi? Se uno volesse imparare a fare il tuo mestiere, dove si può imparare a fare cinema a Bologna? E com’è la situazione a Roma rispetto a Bologna per fare cinema oggi? La centralità di Bologna nel panorama produttivo nazionale è nota, ma il settore vive un grande momento di difficoltà. La pandemia ha ingenerato una crisi senza precedenti e molte realtà stanno scomparendo. La virata verso l’inevitabile distribuzione on demand, che per certi versi è anche portatrice di nuovi modelli di fruizione cui si dovrà necessariamente volgere lo sguardo per il futuro, ha modificato l’attenzione nei confronti del documentario. Nascendo sempre più spesso da grandi sforzi produttivi “dal basso”, il documentario occupa oramai un settore di nicchia, che si distingue dalle grandi produzioni seriali dell’indotto industriale, peraltro generalmente poco contenutistiche e molto orientate verso l’intrattenimento. Ovviamente per le piccole società di produzione sul territorio rappresenta la fine, se le istituzioni deputate al sostegno culturale ed economico non tornano presto a rivolgere la giusta attenzione nei confronti del settore. A Roma la situazione è diversa, come da sempre. Si innesta in un contesto industriale consolidato e vicino ai luoghi di potere della politica. La natura corporativa e lobbista del nostro paese sfavorisce “le periferie”. A chi vorrebbe intraprendere questo mestiere non saprei francamente cosa consigliare, soprattutto in questo momento storico. Di certo quello che suggerirei ad un giovane lungimirante è di andare all’estero. In Francia, ad esempio, o più in generale nel nord Europa. Hai un/una regista preferito? Hai qualche film preferito? Amo la cinematografia sociale italiana degli anni 60. Il mio regista preferito è Dino Risi in coppia con il grande sceneggiatore Rodolfo Sonego. Assieme hanno dato vita a quello che reputo il più bel film italiano di sempre, “Una vita difficile” del 1961, una vera intuizione amara e profetica di ciò che sarebbe stato il futuro in Italia dopo il boom economico, con protagonista un inedito Alberto Sordi (storicamente anticomunista) nei panni del militante di sinistra Silvio Magnozzi, partigiano, giornalista idealista, militante, i cui sogni e la cui lealtà vengono stritolati dalla graduale ed arrembante arroganza della società dei consumi post bellica. Hai fatto il regista di tante cose (serie TV, documentari, cortometraggi, ecc.)—quale genere preferisci?
Scelgo ancora una volta, e nonostante tutto, il documentario. Credo rappresenti la dimensione più intima e umana in cui un autore può esprimersi. E’ ancora il luogo in cui si generano rapporti. Pensa a cosa rappresenta per un autore, ad esempio, lavorare su un doc biografico, pensa al delicato compito che gli viene affidato dal protagonista, e cioè quello di entrare in punta di piedi nella sua vita, nella sua storia, nelle sue memorie. In questo iter, c’è un momento in particolare che ripaga tutti i sacrifici: quando avverto che si è instaurato un patto fiduciario tra cronista e testimone. Solo allora mi rendo conto che è avvenuta una mutazione importante, un’investitura catartica e dunque devo andare fino in fondo. Ci si sente un po’ come “il custode del tempio”. Il documentario è deontologico, l’etica di fondo è innegabile. Che sia di osservazione, narrazione, docufiction, storico o sociale, il cinema del reale resta la più grande opportunità per divulgare conoscenza, fornendo gli strumenti critici necessari contro le omologazioni. E a cose stai lavorando adesso durante questo periodo difficile di Covid? Sto lavorando allo sviluppo (avanzato) di 4 progetti in attesa della ripartenza post-pandemica: “Cacciatori di storia” (Popcultfilm), una docu serie sulla comunità dei cercatori di reperti bellici che con il metal detector si addentrano sulla line Gotica, il fronte della WW2 nel 44-45 tra Toscana ed Emilia; “Gugliemo l’inventore” (Popcultfilm), una serie animata per bambini e ragazzi che narra le vicende dello scienziato Guglielmo Marconi durante la sua infanzia e adolescenza; “L’officina dei corpi” (Popcultfilm), un documentario sulla storia della chirurgia ortopedica dell’istituto Rizzoli e dei suoi illuminati protagonisti negli anni della prima guerra mondiale; il documentario biografico su Edo Ansaloni, creatore del “Memoriale della Libertà” e cronista, con le sue cineriprese e fotografie, delle immagini più significative della Liberazione di Bologna del 21 aprile 1945 (Videomagazine). Dove si potrebbero trovare/vedere i tuoi film? Grazie! I miei lavori sono disponibili in consultazione e prestito gratuito presso: - tutte le biblioteche e mediateche del Servizio Bibliotecario Nazionale OPAC SBN (www.opac.sbn.it) cercando nel database con nome e cognome del sottoscritto; - in distribuzione home video da Balboni video di Bologna (www.balbonivideo.com); - inoltre dall’anno scorso, vista la situazione pandemica, abbiamo deciso di rendere pubblici e gratuiti “Il sindaco, storia di un’utopia realizzata” sul sindaco Giuseppe Dozza, con Ivano Marescotti del 2015 al link: www.docacasa.it/doc-a-casa/il-sindaco/ ; -“Lame, la porta della memoria” del 2004 per il sessantesimo della Liberazione al link e su youtube al link - “1 Map x 2” sul giro del mondo di Tartarini e Monetti nel 1957 su Ducati 175 (disponibile a pagamento al link: www.vimeo.com/ondemand/1mappaper2)
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Elizabeth Bernhardt, PhD, intervista Betty Zanelli, un'artista a Bologna Tanti anni fa ho incontrato un’artista molto interessante in Via delle Belle Arti, quando abitavo di fronte a lei e molto vicino alla Pinacoteca di Bologna. Durante gli anni siamo diventate amiche e visto che tutta la sua vita si svolge nel mondo d'arte, ho pensato che sarebbe bellissimo conoscerla meglio qui! Ecco alcune domande. Da quando hai saputo che volevi diventare artista? Hai altri artisti in famiglia? Come sei riuscita a realizzare il tuo desiderio in questo campo? Ho sempre saputo di voler diventare un’artista, anche se da bambina non mi era ancora chiaro quale disciplina mi piacesse di più, tra il disegno, la scultura e la fotografia. Quello che posso dirti è che sono stata una fotografa molto precoce. Mio padre era giornalista, critico cinematografico, con una grandissima passione per il cinema e per la fotografia. Aveva sempre con sé la sua Rollei che gli chiedevo di poter usare fin dalla più tenera età. Mi regalò quindi una macchina fotografica tutta per me, una AGFA ISO-RAPID I che ho amato moltissimo. Ho iniziato a fotografare quindi a sei anni e non ho mai smesso… ora uso una reflex digitale Nikon e una Lumix Panasonic LX100. Per rispondere alla domanda su come sono riuscita a realizzare il mio desiderio, devo dire che non è stato facile. Ho cambiato percorso di studi per iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, al corso di Pittura. E non ho mai smesso di pensare ogni giorno in termini di creazione. Mi chiedo sempre “what’s next?” e trovo sempre nuovi materiali, diverse suggestioni e scenari, nuovi stimoli. L’artista lavora sempre, anche quando nel suo studio guarda il muro bianco, o una crepa del pavimento. Cosa ti piace creare? Dove si può vedere il tuo lavoro in mostra (o magari online in questo momento particolare)? Lavoro per associazioni di idee, per stratificazioni: un lavoro sulla memoria e sul tempo. Ho un forte interesse per quello che è dimenticato dall’uomo, oggetti e luoghi abbandonati, coperti da una patina di oblio. Uso media diversi, disegno e fotografia soprattutto, ma quando ne ho la possibilità preferisco un’opera di tipo installativo perché mi interessa molto lavorare sullo spazio e presentare un racconto completo, che preferibilmente includa vari linguaggi, fotografia, oggetti, disegno e pittura, quest’ultima è spesso integrata alla fotografia, diventando così una nuova immagine alterata dalle sovrapposizioni in un inganno ottico tra ciò che è vero e ciò che è dipinto. Una mia opera è in mostra in questo periodo presso il palazzo dell’Assemblea Regionale a Bologna, ma il mio lavoro si può vedere sul mio sito www.bettyzanelli.com o sulla mia pagina instagram. Dove insegni e che tipo d’arte ti piace insegnare? Insegno all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove sono docente di Decorazione e Fashion Design. Insegnare mi piace molto, è un dialogo continuo con i giovani molto stimolante. La cosa che mi interessa di più è trasmettere agli studenti la passione per l’arte e far nascere la fascinazione. Trasmettere la forza rivoluzionaria che rappresenta. Per me è come passare il testimone ai giovani artisti. La città di Bologna e la cultura bolognese influiscono sul tuo lavoro? Come? Qui si apre un capitolo difficile. Credo di avere un rapporto di odio/amore con Bologna: cerco sempre di lasciarla, più sono lontana più sono felice, ma poi non so come, vi faccio ritorno. Ho cominciato a viaggiare assieme alla mia famiglia molto presto. Mio padre era inviato a Parigi e quindi da bambina ho passato là molto tempo. Poi abbiamo iniziato a seguirlo anche ai festival cinematografici e abbiamo avuto la possibilità di vedere un po’ di mondo. E così, appena ho potuto, me ne sono andata. L’occasione si è presentata con una mostra al PS122 di New York. Sono partita per New York giovanissima, avevo appena finito l’Accademia. Era la metà degli anni ’80 e ho trovato una città incredibile, così traboccante di creatività, di arte ad ogni angolo di strada, di opere d’arte grandiose dentro a meravigliosi musei accanto alle piccole gallerie alternative del Lower East Side. Una sensazione elettrizzante di libertà, di possibilità di creare qualsiasi cosa, di essere qualsiasi cosa. Insomma, il sogno di ogni giovane artista. Avevo trovato il luogo più lontano da Bologna, non solo geograficamente, ma anche concettualmente. Per questo ed altro, a New York mi sono fermata per 8 anni e ho lavorato lì come artista, un pezzo di vita molto importante per la mia crescita personale, utile per la mia formazione, la mia creatività e la mia professionalità. Quindi per rispondere alla tua domanda, direi proprio di no, Bologna non influisce sul mio lavoro. New York prima e Berlino in seguito, hanno influenzato il mio lavoro. Bologna rappresenta altre cose, per me: è una culla accogliente, una madre rassicurante; è l’aria dolce di casa, delle sere sui colli, del cinema in piazza, degli amici fidati. Hai un’opera d’arte preferita a Bologna oppure magari un artista bolognese preferito? A chi visitasse Bologna per la prima volta, cosa consiglieresti di vedere? Bologna è una città bellissima, ricca di monumenti e opere d’arte a ogni angolo di strada. Suggerisco in particolare di visitare le chiese, numerosissime a Bologna, ricche di opere meravigliose, anche dove meno te l’aspetti. Per quanto riguarda la mia opera d’arte preferita a Bologna, ti direi la Basilica di Santo Stefano, detta “Le Sette Chiese”, una serie di chiese incastrate una dentro l’altra, in cui si può godere di veri gioielli di epoca romanica. Anche per trovare i miei artisti bolognesi preferiti bisogna andare un po’ indietro nel tempo: sono due donne, la pittrice Lavinia Fontana (1552-1614) e Properzia de’ Rossi (1490 circa-1530), una straordinaria scultrice troppo spesso dimenticata. Michael Cross intervista il dott. Michele Boldrin chiedendogli le sue opinioni a riguardo del nuovo governo italiano formato da Mario Draghi e sulle questioni economiche relative all'Italia, all'UE e agli Stati Uniti. Michele Boldrin è l'economista più quotato di St Louis, oltre a James Bullard, presidente della Federal Reserve Bank di St Louis. Boldrin è nato a Padova, ma è cresciuto a Venezia, dove ha frequentato l'Università Ca’ Foscari. É stato il Preside del Dipartimento di Economia della Washington University di St. Louis. Il suo contributo alla teoria dell'equilibrio economico generale e ad altre teorie macroeconomiche sono stati pubblicati nel libro "Against Intellectual Monopoly" di cui è coautore con David K. Levine.
Prof. Boldrin, è un vero piacere rivederla e poter finalmente uscire all’aperto. Come ben saprà, viviamo in un periodo incerto. Mi chiedo se lei, da esperto di problemi economici, abbia notato cambiamenti importanti a causa della pandemia. Sono curioso di avere più informazioni a riguardo dell’impatto macroeconomico che la pandemia del Covid-19 ha avuto sulla società, ed in particolare sull'UE e gli Stati Uniti. Crede che un giorno tutto possa tornare alla normalità pre-Covid? Alcune attività non torneranno mai a “come erano prima”, almeno per alcune persone. Fra di esse vi sono quelle che in questa epidemia hanno visto la fine del mondo causata da non si sa bene quale peccato degli umani. Altre persone, invece, si saranno già evolute verso altre modalità operative, penso a tutte le aziende che, spinte dalla necessità, hanno imparato a lavorare bene a distanza (in “smart working”, come si dice ... neache che la maniera in cui lavoravamo prima fosse “dumb working”) e che stanno trovando modalità per renderlo più efficiente. Senza alcun dubbio la pandemia e le forme in cui è stata gestita hanno spinto le persone ed aziende con maggior capacità di adattamento a cambiare modo di lavoro riducendo contatti, viaggi, riunioni. Questo fa risparmiare risorse, riduce l'inquinamento e fa scoprire nuove capacità, questo processo continuerà. Ma il vero problema sta in quelle milioni di persone che, per mille ragioni, non possono cambiare o almeno non possono farlo rapidamente. Penso a tutti i servizi personali che richiedono presenza, dal ristorante al parucchiere all’insegnamento (no, la Didattica a Distanza NON è un buon sostituto di quella tradizionale, specialmente per i giovani sino ai 18-20 anni e, se devo giudicare sulla base della mia esperienza a Ca’ Foscari e Washington University in St Louis, neanche per gli studenti di college). Per tutti questi il ritorno alla normalita’ potrebbe non avvenire molto facilmente. Seguo da tempo il suo modello di pensiero. Ho notato, nello specifico, alcune delle critiche, a volte ciniche, a riguardo all'economia italiana. Qual’è, secondo lei, il futuro dell'Italia? Qual’è, secondo lei, la soluzione ai mali che da decenni affliggono l'economia italiana? Impossibile risponderle in poche righe, come sa se ha letto quello che scrivo. Provo con uno slogan: in Italia domina la cultura della mediocrità, dominano i mediocri ad ogni livello ed è sparita non solo la meritocrazia ma anche la capacità di assumersi la responsabilità degli atti compiuti. I mediocri non sono solo incapaci di governare, innovare, creare ed essere responsabili, sono anche tipicamente invidiosi di chi ha qualcosa di “migliore” di loro. Questo ha generato in Italia una guerra di tutti contro tutti: ogni piccolo gruppo sociale vuole mantenere i propri privilegi ed appropriarsi di quelli altrui, in una escalation di “domande di diritti” e di “rifiuto dei doveri” che non ha uguali nel mondo occidentale. Di conseguenza i giovani migliori fuggono, letteralmente, appena possono. Ne sono personalmente testimone: ricevo settimanalmente dozzine di richieste di “consigli su come andarsene”. Una tristezza infinita ma il problema, da tempo, non e’ più solo economico ma culturale e valoriale. Passiamo all'argomento del nuovo premier italiano Mario Draghi. Qual è la sua opinione del nuovo primo ministro italiano ed ex presidente della Banca centrale europea? Ho un’ottima opinione di Mario Draghi, persona capace, efficace e moralmente integra. Purtroppo non credo che il suo premierato cambierà le cose perchè i vincoli imposti alla sua azione dall’attuale parlamento sono enormi. E lo si vede già, sia nella composizione del governo sia negli atti sino ad ora adottati. A fronte di poche azioni coraggiose ed utili (fra tutte, il licenziamento di Domenico Arcuri) ve ne sono già almeno una dozzina di deleterie, dall’estensione dei contratti per i navigatori ai progetti di nuove assunzioni pubbliche alla continua imposizione di uno stato d’emergenza che viola le libertà personali e non attenua l’espansione del virus. Crede che Draghi avrà più successo rispetto a Monti? Glielo auguro, visto il disastro che Monti causò. Ma mi riesce difficile fare confronti, le due situazioni sono molto diverse ed il contesto internazionale è completamente cambiato. E, inoltre, Draghi si è posto obiettivi molto limitati: far vaccinare gli italiani (la situazione sta migliorando ma prima era tragica) e preparare un PNRR accettabile dal resto dei paesi europei. Niente altro, apparentemente. Un esperto di economia può essere un buon politico secondo lei? Quanti economisti hanno ricoperto il ruolo di premier avendo discreto successo, secondo lei? Non dipende dal titolo di studio se una persona può essere o meno un buon leader politico. L’esperienza prova che i buoni politici possono venire da qualsiasi settore o professione. Conta la situazione storica e la caratura intellettuale e morale della persona. Ed anche un po’ di fortuna, sia chiaro. Francamente per rispondere alla seconda domanda dovrei andare a controllare, il che proverebbe che, appunto, il titolo di studio conta poco. Ha intenzione di far rinascere il partito "Fare per fermare il declino"? No. Esperienza fatta, rovinata da altri, fine. Con il M5S allo sbaraglio (vedi: Conte) ed il PD in stato confusionale a causa di Zingaretti, sembra proprio che l'unica speranza per l'Italia sia il centro destra, non crede? Si, concordo. Ma questo centro destra, ignorante e fascistoide, potrebbe fare peggio della sinistra che ha governato dal 2011 ad oggi. E questo è un grave problema. Il declino del paese, dispiace dirlo, continuerà. Perché Luigi Di Maio è ancora al potere come Ministro degli Esteri? Sembra essere il politico più inadeguato al ruolo che l'Italia abbia mai avuto. Perchè continua a rappresentare gli interessi italiani all'estero? Durante le mie interviste con numerosi expats italiani, non sono riuscito ad incontrare una sola persona che non consideri di Maio un politico imbarazzante. Questo non deve chiederlo a me ma ai milioni di italiani che l’hanno votato. É il capo del partito di maggioranza relativa in questo parlamento e l’Italia è una repubblica parlamentare. Quindi ha potere. Triste, ma è un fatto. Si chiama democrazia e funziona così. D’altro canto, Donald Trump ha governato per 4 anni gli USA facendo danni immani ed anche quella era democrazia. É stato più che un piacere, come sempre, professor Boldrin. Non vedo l'ora di rivederci quanto prima alla “Casa Don Alfonso - St Louis”, uno dei nostri ristoranti preferiti. La comunità italiana di St Louis dà il benvenuto al nostro nuovo Console Generale d'Italia, Thomas Botzios. Non vediamo l'ora di collaborare con lui durante il suo mandato e di dargli il benvenuto a St Louis. Thomas Botzios è nato l’11 maggio 1970 a Roma, dove si è laureato in giurisprudenza il 24 gennaio 1995. Dopo aver svolto attività di libero professionista e nel settore privato, è entrato in carriera diplomatica, in seguito ad esame di concorso, il 17 dicembre 2001.
Successivamente al periodo di formazione, in cui ha prestato servizio presso la Direzione Generale per i Paesi dell’Africa subsahariana e al Servizio del Contenzioso Diplomatico, il suo primo incarico è stato presso la Direzione Generale per il Personale. Dal 2005 al 2009 ha prestato servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Belgrado con l’incarico di Capo dell’Ufficio economico e commerciale. Nel 2009 e’ stato assegnato all’Ambasciata d’Italia a Washington dove ha ricoperto il ruolo di Capo della Segreteria dell’Ambasciatore. Nel 2013 è rientrato al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, presso la Direzione Generale degli Affari Politici e di Sicurezza, occupandosi di cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo e ai traffici illeciti internazionali. Dal 2014 al 2020 ha prestato servizio presso la Segreteria Generale, dove ha ricoperto l’incarico di funzionario vicario dell’Unita’di Crisi della Farnesina. Dal 13 ottobre 2020 ha assunto le funzioni di Console Generale a Chicago, competente per Colorado, Illinois, Iowa, Kansas, Minnesota, Missouri, Nebraska, North Dakota, South Dakota, Wisconsin e Wyoming. Thomas Botzios è sposato e parla correntemente italiano, inglese, spagnolo e greco. SANDRA RAMANI - La Cucina Italiana We got the scoop on the more casual Casa Don Alfonso, which will open in St. Louis in late February. For many travelers to the Amalfi Coast and Sorrento peninsula, no visit is complete without a meal at Don Alfonso 1890. Run by the Iaccarino family, the Michelin-starred restaurant in the hilltop village of Sant’Agata sui Due Golfi has for decades been treating diners to elevated—but still authentic—regional cuisine crafted using high-quality ingredients, many sourced from the family’s nearby organic farm. With husband and wife Alfonso and Livia (who founded this incarnation of the restaurant in 1973) welcoming and chatting with guests, their son Mario serving as restaurateur and son Ernesto working his magic in the kitchen, a meal here is also a family affair—with guests quickly feeling like part of the fold.
It’s this family atmosphere that the Iaccarinos want to export to America with the opening of their first US venture. While their consulting arm has previously opened Don Alfonso outposts in destinations like Macau, New Zealand and Canada, those restaurants were more in line with the original location’s fine dining focus. But Casa Don Alfonso—which is set to open at The Ritz-Carlton, St. Louis in late-February 2021—will be a “casual interpretation of what we do in Sant’Agata,” says Mario Iaccarino, who has spearheaded the development of the project. An open kitchen, photos of the Iaccarinos, hand-painted Italian ceramic tiles and a color palette inspired by the lavender fields of Sant’Agata will help set that scene. We chatted with Iaccarino about how the first US Don Alfonso came about, the culinary connections between Italy and the States, and how Casa Don Alfonso’s menu will reflect “the real recipes of the grandmothers. Having had the pleasure of dining at Don Alfonso 1890, it was exciting to hear that you will be opening in the US. How did the project come about? We have been in the consulting business for about 25 years, and have done a few projects around the world during that time. Opening in another location is always the best way to learn about a culture—and every time we do it, we get as much out of the experience as we give. But we aren’t the ones who first select where to go; it happens based on interest, and people approach us. This idea came about a couple of years ago, when a friend of the owners of the new The Ritz-Carlton, St. Louis dined with us in Italy, and then suggested us to the hotel owners. Why did you feel like this would be a good fit—and that St. Louis should be the location for your first US restaurant? I decided to go to St. Louis for the meeting and, honestly, from the first moment I arrived at the hotel, I felt at home. They operate with a very similar attitude as what we have at Don Alfonso, and reflect the same ideas. The hotel’s General Manager, Amanda Joiner, and her team operate the hotel like a family, and from the first moment, I had had the feeling that I was entering into a family. That’s why I felt that we had to do something there. It may sound strange, but I have rarely found myself in such a familiar place as The Ritz-Carlton, St. Louis! For me, it’s also been interesting to get to know a Midwestern city, which has a different culture than what you find on the east and west coasts. People are so friendly—I really enjoy visiting there, and when I leave, I leave with sadness. How will Casa Don Alfonso be different from the fine dining you’re known for? In Italy, we do fine dining, but we are still a family, and we never take ourselves too seriously. Casa Don Alfonso will represent that in a more casual way. Especially now, with everything we are all living through, the goal of restaurants should be to let people relax—to be a place of lightness and happiness. People are tired, and we want to go to restaurants to enjoy the experience, not to be scared of the waiter or maître d’! We started working on this a long time before COVID-19, but with a little bit of courage, I think this could actually be the right moment for this type of project. When people are ready to enjoy again, we will be ready for them. Italian cuisine is obviously so popular in the US, and has deep roots here. How do you see Casa Don Alfonso fitting in to that landscape? There is, of course, a huge Italian community in the US, and my own family is part of that, as most of my mother’s family lives between New York and New Jersey. I feel that the connection between the two countries is one of the strongest in the world, and Italian cuisine is a big part of that—the appreciation of Italian cuisine in the US is a historic one. It brings together generations of families that are so strongly attached to their traditions, sometimes even more so than those of us in Italy. I have memories of being at my aunt’s house in New Jersey and spending 48-hours eating authentic Neapolitan cuisine! With its focus on authentic family dishes, Casa Don Alfonso will fit into that celebration of tradition. Tell us how you developed the menu? We have been working on this project for about one-and-a-half years, and during that time have been doing a deep dive into Neapolitan culture to develop our recipes. Because the sea is a protagonist in Naples and the Campagna region, we are a mix of different cultures and have had culinary influences from places like the Middle East and Far East, seen through ingredients like pepperoncini and olive oil. At Casa Don Alfonso we will eat things that draw from that history. We will also celebrate a world that doesn’t exist much anymore, through the real recipes of grandmothers, done in the traditional—but also a simple and healthy—way. The recipes of many of the region’s well-known dishes have changed over the years, but we will present the 100-percent original versions. These are the kinds of dishes I would eat when I went to my grandmother’s for Sunday lunch. What are some examples of that? We have a lasagna on the menu, which is a dish everyone knows, but this will be the original version of a Neapolitan lasagna. In this interpretation, there is no Bolognese, no Bechamel sauce, no chopped meat. Instead, we use big pieces of meat that we cook slowly with red wine, carrots, celery and bay leaves, for about five hours, then softly slice and add to the lasagna with ricotta. We also use hard boiled eggs—which is the sign that this is coming from a real Neapolitan grandmother! We will also have dishes like Acqua Pazza fish, Campagna-style macaroni gratin, pizzas with an organic sourdough base, and fritto misto done the way you would find on the streets of Naples. My father opened Don Alfonso 1890 in 1973, and I can say that the Casa Don Alfonso menu reflects the exact culinary concept of that original restaurant’s first 15 years, with a focus on all the simple things that are a part of our tradition. Will you be bringing ingredients over from Italy, or sourcing them locally? The main, key ingredients will be shipped from Italy, from a selected a group of small makers. We’ll be using the same dried spaghetti—made by a small producer—as we do at Don Alfonso, and the same tomato sauce and extra virgin olive oil. For other products, including some fresh ones, we’ve identified some great distributors, but we also want to be respectful of local producers—so If we find a special apple from Missouri, maybe we’ll use it in a desert pizza, mixed with cinnamon. It will be a menu that respects the local seasonality. Many of the wines will come from Italy, of course, and we just got the okay to import the limoncello we make using lemons from our farm—so that will be another taste of Sant’Agata in St. Louis. Remembering Armando Pasetti: Friend, Benefactor, and Founding Member of Club Italiano Per Piacere12/27/2020 MICHAEL CROSS President, St Louis - Bologna Sister Cities Consigliere, Club Italiano Per Piacere Armando Leopoldo Pasetti was an anchor of the Italian community in St Louis. A beloved man, father, and friend to many, he passed away on Christmas Eve at the age of 96. Pasetti was born on June 20, 1924 in San Martino dall'Argine in the region of Lombardia. He first came to St. Louis in 1938 when he was only 14 years old and followed in the footsteps of his uncle, Giovanni Volpi, who founded Volpi Foods in 1902. After Volpi's death, Pasetti, who had become a master salumiere, led the company from 1958 until 2002, when he passed on his business to his daughter Lorenza. Pasetti is survived by three daughters, eight grandchildren and 10 great-grandchildren. He was a founding member of Club Italiano Per Piacere, a St Louis Hills resident, and a parishioner of St Raphael the Archangel Catholic Church. The Italian Community of St Louis will deeply miss Armando and owes a debt of gratitude for his steadfast support and his dedication to preserving and promoting l'italianità in St Louis. Services: Visitation Wednesday, December 30 at 9:30, Mass at 10:30 at Saint Raphael the Archangel Church, 6047 Bishops Place, 63109. Mass will be live streamed to the parish website. Armando Leopoldo Pasetti era una figura fondamentale della comunità italiana a St Louis. Amato da tutti, padre ed amico di molti, è morto durante la vigilia di Natale all'età di 96 anni. Pasetti arrivò per la prima volta a St. Louis da San Martino dall'Argine, in Lombardia, quando aveva soltanto 14 anni, seguendo le orme dello zio Giovanni Volpi, fondatore della Volpi Foods nel 1902. Dopo la morte di Volpi, Pasetti, divenuto maestro salumiere, è stato a capo dell'azienda dal 1958 fino al 2002, quando ha ceduto l'attività alla figlia Lorenza. Pasetti ha lasciato tre figlie, otto nipoti e 10 pronipoti. Era uno dei membri fondatori del Club "Italiano Per Piacere", cittadino di St Louis Hills ed un parrocchiano della chiesa cattolica di St Raphael the Archangel. La Comunità italiana di St Louis sentirà la profonda mancanza di Armando e gli sarà per sempre grata per il suo costante sostegno e la sua dedizione nel preservare e promuovere l'italianità a St Louis. Rito funebre: L'eucarestia di saluto al caro Armando verrà celebrata mercoledì il 30 dicembre alle ore 10.30 nella chiesa parrocchiale di St Raphael the Archangel, 6047 Bishops Place, 63109. Dopo il rito proseguirà in forma privata. CONDOLENCES FROM THE ST LOUIS ITALIAN COMMUNITY AND FROM ABROAD È con grande rammarico che vi informo che questa mattina Armando Pasetti è morto, a casa sua, assistito dalla figlia Angela Pasetti Holland. Confido che tutto il nostro club si unirà a noi nel porgere a Angela, Lorenza, Carla e l’intera famiglia Pasetti le nostre più sentite condoglianze. Armando è stato un grande amico della comunità e particolarmente di Italiano per piacere come socio e sostenitore sin dai nostri inizi, vent’anni fa. Si ricongiunge ora con la sua amata Evelina e noi ricorderemo sempre entrambi con grande simpatia e affetto.
- Cav. Franco e Nerina Giannotti Un grande uomo che ha tenuto alto negli Stati Uniti il nome dell’Italia e della mia e sua Lombardia. La comunità italiana ed Italo-americana perde uno dei suoi più grandi riferimenti. Riposi In Pace. - On. Luigi Augussori, Senatore della Repubblica Italiana My prayers and heartfelt condolences to the Pasetti Family in their time of mourning. I will remember the repose of the soul of Armando in my prayers and celebrated Masses. We are grateful for his support of the mission of the Church in our Archdiocese, as well as his contribution to the greater community. May the Risen Lord bless him with eternal life and grant consolation and hope to those in their time of grief. - Most Rev. Mark Rivituso, Auxiliary Bishop of St Louis Con immenso dolore e sentite condoglianze uniti alla famiglia, un grande uomo, una colonna portante della Italian Hill, un caro amico, ci mancherà tanto quando si verrà, a Saint Louis e non vederlo, sorridente, dietro il bancone. - Maria Grazia Hayes, Tarquinia, Italia Quanto ci dispiace. Lo ricorderemo sempre con piacere, il caro zio Armando. Indimenticabile il suo sorriso buono unito alla contagiosa positività. - Alberto e Annarita Gabbiani, Cremona, Italia Grande uomo di rispetto. Condoglianze a tutta la sua famiglia. - Antonio e Marisa Gandolfo, St Louis, Missouri Michael Cross intervista Joe Kurowski, proprietario e pizzaiolo della "Pizzeria da Gloria" Joe, per prima cosa voglio dirti che è molto emozionante incontrare un appassionato dell’autentica pizza italiana come te. Come sapete, non capita tutti i giorni di aprire una pizzeria italiana particolare a St Louis. Sottolineo la parola "autentica" perché la pizza non è nuova a St Louis e conosciamo tutti l’origine del formaggio "provel". Non intendo chiederti nulla a riguardo delle opinioni degli italiani nei confronti del "provel", ma sono sicuro che ci sono state discussioni accese mentre vivevi in Italia.
Cosa ti ha portato a trasferirti in Italia? Per quanto tempo ci sei rimasto? Dove vivevi esattamente? La storia inizia con mio padre. Negli anni '70 ha studiato all'Università Loyola nella zona di Monte Mario a Roma. Quando ero piccolo, mio padre decise di fare viaggi di famiglia in Italia. Non c'è mai stato nessun dilemma a riguardo della destinazione. Questo è stato il mio primo impatto con cultura Italiana. Dal 2006 al 2007 ho frequentato la stessa università a Roma. Ricordo che è sempre stata la sensibilità italiana ad attrarmi — i cibi tipici italiani locali. Nel 2018 sono tornato in Italia, trasferendomi a Napoli. Volevo conoscere le mie origini per poter imparare la ricetta tradizionale dell'ottima pizza napoletana. Avevo trovato una pizzeria nei pressi dello storico “spaccanapoli” o Via dei Tribunali, la "Pizzeria dal Presidente”, dove mi hanno insegnato a fare l'impasta per la pizza napoletana. Parlaci del tuo sogno di aprire una pizzeria. Hai sempre avuto la passione per la pizza? La mia passione è per la creatività. Il mio obiettivo non è replicare la pizza napoletana più autentica. O la pizza romana più autentica. La mia pizza rende omaggio a tutti i posti in cui ho viaggiato. Prati. Ischia. Ortiga. Brooklyn. San Francisco. La lista continua. Per darti un'idea, la mia crosta è più croccante di quella napoletana. Cuoce per un periodo di tempo più lungo. Il sogno si è realizzato dopo tanti anni di visualizzazione nella mia mente. Roma, Napoli, Sicilia e le lezioni col maestro pizzaiolo Gabriele Bonci mi hanno aiutato a cristallizzare la mia passione. Parlaci della “Pizzeria da Gloria”. Perché hai scelto proprio questo nome? Gloria era la mia nonna, e questo è un omaggio a lei. È una pizzeria nella sua forma più pura. Qual è il processo di produzione della tua pizza? Quali ingredienti usi e qual’è il loro origine? Usiamo un forno Pavesi di Modena, Italia. La base del processo coinvolge tecniche antiche e cerchiamo di procurarci ingredienti da fornitori negli Stati Uniti. Pomodori della California. Formaggio del Wisconsin. Farina dello Utah. Il mio vino proviene dai vigneti biologici. L'impasto è composto solamente da farina, acqua e sale. Usiamo lievito naturale. I prodotti sono prevalentemente statunitensi, ad eccezione di alcuni formaggi e vini. Come mai hai scelto di aprire la tua pizzeria nel quartiere di The Hill? Hai ricevuto qualche feedback per non aver messo il "provel" sulla tua pizza? (The Hill è un quartiere che è stato insediato dagli italiani da 100 a 150 anni fa. Oggi ci vivono parecchi americani di origine italiana.) The Hill è l'ultimo quartiere italo-americano negli Stati Uniti. È una comunità piena di panifici, trattorie, osterie, birrerie e alimentari. È un quartiere nel vero senso della parola. Ho un'idea creativa per quanto riguarda il provel ma è solo un concetto. Vieni a trovarci per una festa quando la pandemia sarà finita! Attualmente, siamo aperti per pizza e vino da asporto da mercoledì a domenica. È aperto per pranzo durante il weekend (da venerdì a domenica). Per maggiori informazioni, visitate il nostro sito: www.pizzeriadagloria.com Joe, è stato un vero piacere parlare con te. La comunità italiana è molto entusiasta della tua pizzeria e so che alcuni di noi hanno già assaggiato la tua pizza e ne sono rimasti entusiasti. Ho mangiato una pizza Margherita l'altro giorno ed è stata una delle migliori che abbia mai provato. È bello conoscere altri americani entusiasti e determinati nel portare l'autentico cibo italiano negli Stati Uniti. ANDREA BARRONE Italian Chef living in St Louis I'm Andrea, I'm from a little town near Milan, where I grew up with my family originally from the South of Italy. I moved to St. Louis together with my wife a couple of years ago. Here, I wanted to pursue and broaden my career as a Chef. Before the restaurants were shut down, I was working at Casa Don Alfonso at the Ritz-Carlton, in Clayton. During this unprecedented time, I decided to keep cooking as much as I can and share my passion for the food and my Italian culture through my authentic lasagna. Mi chiamo Andrea, vengo da un paesino vicino Milano, dove sono cresciuto con la mia famiglia di origini pugliesi e campane. Da un paio d'anni mi sono trasferito a St. Louis con mia moglie, dove ho proseguito ed ampliato la mia carriera come Chef. Prima che chiudessero i ristoranti, avevo iniziato a lavorare per Casa Don Alfoso, presso il Ritz-Carlton Hotel in Clayton. In questo periodo ho deciso comunque di non smettere di cucinare e con le mie lasagne cerco di trasmettere la mia passione per il cibo e la cultura italiana. IF YOU ARE INTERESTED IN ORDERING FROM CHEF ANDREA, PLEASE EMAIL HIM AT: ANDREWBARRONS88@GMAIL.COMMICHAEL CROSS President, St Louis - Bologna Sister Cities Thanks to all who participated in the 5th World Week of Italian Cuisine (La Settimana della Cucina Italiana nel Mondo). Congratulations to Tanya Apostolova of St Louis who won our contest and receives a $100 gift certificate to Casa Don Alfonso - St. Louis! Voters selected the food picture or video on our social media pages that they felt most intrinsically expresses authentic Italian cuisine. Those who received the most likes are listed in order below.
1st place - Tanya Apostolova (Fettuccine cacio e pepe) 2nd place - Fiorella Buonagurelli (Pasta tricolore) 3rd place - Giovanna Capaldo (Gnocchi alla sorrentina) Special Mention - Annamaria Pascale (Rummo spaghetti with butternut squash cream, parmigiano reggiano and pistachio crumbs) MICHAEL CROSS President, St Louis - Bologna Sister Cities Il Senatore Augussori, lodigiano, ha incontrato i vertici della Comunità italiana di St. Louis Lunedì 2 novembre, in un'atmosfera piena di aspettative in vista di un'elezione presidenziale statunitense altamente contestata, il Senatore italiano Luigi Augussori ha visitato i leader della comunità italiana di St Louis. Non capita certo tutti i giorni che un senatore italiano visiti St Louis e non è assolutamente previsto alla vigilia di un evento politico così importante. Poiché il Senatore è membro dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), lo scopo del suo viaggio alla “Gateway City” era principalmente quello di osservatore internazionale per le elezioni. Tuttavia, il Senatore Augussori ha gentilmente scelto di trascorrere il suo tempo libero con i suoi connazionali italiani per fare visita alle aziende italiane locali. Augussori proviene da Borghetto Lodigiano, nei pressi di Milano, la stessa città in cui è nato Giovanni Volpi, fondatore della "Volpi Foods". Durante gli incontri, ai quali ho avuto il privilegio di partecipare in qualità di presidente delle St Louis - Bologna Sister Cities, il Senatore ed i leader della comunità italiana hanno discusso dell’ulteriore sviluppo commerciale tra la città di St Louis e l'Italia. Tra i partecipanti, era presente Giorgio Bucci, CEO della società di software globale Arteco Global e uno dei principali donatori delle iniziative e delle attività della comunità, comprese le celebrazioni annuali di Ferragosto e Carnevale. Il Senatore, che conosce molto bene le particolari dinamiche degli italiani residenti a St. Louis, si è congratulato con il lavoro di diversi personaggi di spicco tra cui Barbara Klein dell'Italian Film Festival USA e il Cav. Franco Giannotti, fondatore dell'unica associazione di lingua esclusivamente italiana della regione, il "Club Italiano Per Piacere". Augussori ha elogiato Giovanna Leopardi, che ha fondato il “St Louis Italian Language Program” a settembre 2019, e che ha avuto un grande successo già nel suo primo anno di attività con un'iscrizione di oltre 75 studenti di tutte le età e livelli di competenza. Il Senatore ha riconosciuto l’impegno della “St Louis - Bologna Sister Cities Organization” e del “World Trade Center - St Louis” che sono stati determinanti nel ristabilire i legami economici con la regione Emilia-Romagna, in particolare nel settore ag-tech e scientifico-agricolo. Non tutti sanno, però, che questo non è il primo viaggio del Senatore Augussori a St Louis. Augussori è un fan sfegatato dei “St. Louis Cardinals” e si è recato a St Louis quattro volte per vedere i Cardinals giocare al Busch Stadium. Il Senatore ha giocato a baseball per trent'anni dalla sua infanzia e si è prefissato l'obiettivo di visitare ogni stadio della MLS in Nord America. Augussori ha parlato di alcune delle sue amicizie con i giocatori dei “Cardinals” che ha stretto durante negli anni scorsi. Durante il suo breve soggiorno a St. Louis, il Senatore ha visitato “Volpi Foods” ed ha consegnato all'azienda un’onorificenza da parte del sindaco di Borghetto Lodigiano, Giovanna Gargioni. “Volpi Foods” è stata fondata nel 1902 da Giovanni Volpi giunto a St. Louis all'inizio del XX secolo. Il nipote Armando Pasetti, mantovano, ha rilevato l'attività dopo la scomparsa del signor Volpi. Armando ha poi ceduto l'attività alla figlia Lorenza Pasetti che l'ha portata ad oltre 200 dipendenti. “Volpi Foods” è sponsor della comunità italiana e negli anni ha supportato numerosi eventi. Il Senatore ci ha riferito, in seguito alla sua visita: "Durante la missione di osservazione elettorale ho avuto modo di incontrare l’associazione degli italiani che vivono a Saint Louis. Ho conosciuto imprenditori che hanno avuto l’opportunità e trovato le condizioni per sviluppare le proprie aziende e ho apprezzato le numerose iniziative culturali organizzate da Italian Community of St Louis" Da parte nostra, siamo onorati di aver incontrato il Senatore Augussori e siamo rimasti colpiti dall'interesse che ha manifestato per nostra comunità. Convinti del fatto che il nostro dialogo sia stato proficuo, confidiamo di poterlo incontrare in futuro, sia qui a St Louis che a Lodi. Senator Luigi Augussori, from Lodi in Lombardia, met with leaders of the Italian Community in St Louis On Monday, November 2nd, amidst an atmosphere of anticipation in the run-up to a highly contested U.S. presidential election, Italian Senator Luigi Augussori visited with leaders of the St Louis Italian community. It is certainly not every day that an Italian Senator visits St Louis and it is definitely not expected on the eve of such an important political event. Since the Senator is a member of the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE), the purpose for his trip to the Gateway City was primarily as an international observer for the elections. Yet, Sen. Augussori graciously chose to spend his free time visiting with his Italian compatriots and visiting local Italian businesses. Augussori comes from Borghetto Lodigiano near Milan, the very same town where locally owned Volpi Foods founder Giovanni Volpi was born.
During the meetings, which I was privileged to participate in as president of the St Louis - Bologna Sister Cities, the Senator and leaders of the Italian community discussed increased business development between the St Louis region and Italy. Among the attendees was Giorgio Bucci, CEO of the global software company Arteco Global and a major donor of the community's initiatives and activities including the annual Ferragosto and Carnevale celebrations. The Senator, who understands quite well the particular dynamics of Italians living in St Louis, congratulated the work of several outstanding individuals including Barbara Klein of the Italian Film Festival USA and Cav. Franco Giannotti who founded the region's only exclusively Italian speaking association Club Italiano Per Piacere. Augusorri also praised Giovanna Leopardi who founded the St Louis Italian Language Program in September 2019 which has had great success in its first year with an enrollment of over 75 students of all ages and levels of proficiency. The Senator also praised developments made by the St Louis - Bologna Sister Cities Organization and the World Trade Center - St Louis which have been instrumental in re-establishing economic ties with the Emilia-Romagna region of Italy, particularly in the ag-tech and agricultural sciences sector. Believe it or not, this is not Augussori's first trip to St Louis. He is a diehard fan of the St Louis Cardinals and has traveled to St Louis four times to watch the Cardinals play at Busch Stadium. The Senator played baseball for thirty years beginning in his youth and made it his goal to visit each MLS stadium in North America. Augussori spoke about some of his personal friendships with Cardinals players he has had over the years. During his brief stay in St Louis, the Senator visited Volpi Foods and presented the business with a proclamation from the mayor of Borghetto Lodigiano, Giovanna Gargioni. Volpi Foods was founded in 1902 by Giovanni Volpi who came to St Louis at the turn of the 20th century. His nephew, Armando Pasetti, from Montova, also in Lombardia, took over the business after Mr. Volpi passed away. Armando then passed on the business to his daughter Lorenza Pasetti who has grown the business to over 200 employees. Volpi Foods is a sponsor of the Italian community and has donated to numerous events over the years. The Senator bestowed us with the following statement following his visit: "During my mission to St Louis as an international observer for the U.S. presidential elections, I had the chance to meet with the main organization for Italians living in the region. I met with Italian entrepreneurs who found the right opportunities and conditions to develop their businesses. I also appreciated the numerous cultural initiatives organized by the Italian Community of St Louis." From our part, we are honored to have met Senator Augussori and were impressed by the interest he took in our community. Knowing that our dialogue was fruitful, it is our hope that we can visit with him once again in the near future, whether here in St Louis or in Lodi. On behalf of the entire Italian Community of St Louis, we would like to express our gratitude to the Iaccarino Family and Casa Don Alfonso - St Louis for their generosity in supporting our local Italian and Italophone community. We are, moreover, honored to begin a partnership with such an esteemed and storied Italian restaurant which shares our values and which dedicates itself to promoting authentic Italian cuisine in the U.S. We are very happy to have welcomed chef de cuisine Sergio Chierego into our community and we look forward to the events and other surprises he has planned for us in the coming year. We sincerely look forward to celebrating many memorable moments together in the near future. ABOUT CASA DON ALFONSO AT THE RITZ-CARLTON ST LOUIS Casa Don Alfonso - St Louis is restauranteur Mario Iaccarino's very first restaurant in the United States. The Iaccarino family has been in the hospitality business for over 120 years beginning with Mario's great-grandfather Alfonso who built the famed Hotel Iaccarino in 1890 at Sant'Agata, near Naples, in the region of Campania. Over the years, the establishment at Sant'Agata has become a beautiful gem on the Mediterranean Sea which respects the thousand-year-old food tradition of the Sorrento peninsula and Amalfi coasts.
The opportunity to open Casa Don Alfonso at the Ritz-Carlton in Clayton came about because of a personal connection that Mario Iaccarino had with the owner of the Ritz-Cartlon who has frequented Don Alfonso 1890 at Sant'Agata for many years. Through this friendship, a vision was born which now has become a reality. The 140-seat restaurant and bar, slated to open in late February, will feature multiple dining areas with relaxed seating in the lounge area and counter seating surrounding the open kitchen. The Italian Community is excited to begin cooking classes in 2021 with Chef Sergio! Non vediamo l'ora! Intervista esclusiva di Michael Cross a Sergio Chierego, Chef de Cuisine di Casa Don Alfonso al Ritz-Carlton di St Louis Exclusive Interview with Sergio Chierego, Head Chef of Casa Don Alfonso at the Ritz-Carlon in St Louis, conducted by Michael Cross (Interview in English Below) Un nuovo ristorante italiano è arrivato a St Louis. Non si tratta di un ristorante italiano qualunque, ma di “Casa Don Alfonso”, uno dei ristoranti italiani più famosi e leggendari di tutta Italia. La Comunità Italiana di St Louis è onorata di accogliere a St Louis “Casa Don Alfonso” ed il suo chef Sergio Chierego. Siamo entusiasti di avere con noi un altro talento italiano madrelingua. Benvenuto nella nostra comunità, Sergio. Un'istituzione culinaria così importante merita un luogo adatto e tu hai scelto il Ritz-Carlton, situato nel cuore di Clayton. Gran parte della nostra comunità risiede a Clayton e dintorni, quindi avrai numerosi supporter fin da subito. Voglio ringraziarti personalmente per aver dedicato del tempo a questa intervista. Puoi presentarti alla nostra comunità? Da dove vieni? Cosa ti ha spinto a diventare uno chef? Il piacere è tutto mio, mi chiamo Sergio, ho 32 anni e vengo da Cagliari, Sardegna. In viaggio dall'età di 17 anni, ho avuto il piacere di poter lavorare nel Regno Unito, Germania, Anitgua & Barbuda e Arabia Saudita. Da 4 mesi mi sono trasferito a St Louis, più precisamente qui a Clayton e come menzionato prima, mi occuperò della cucina a Casa Don Alfonso al Ritz-Carlton. Riguardo a questo mestiere e del motivo per cui l'abbia scelto sta nel fattore umano. Cucinare mi dà gioia. Amici, parenti o clienti, non importa. Hai viaggiato molto durante la tua carriera. Raccontaci alcuni aneddoti del tuo ruolo di chef, in riferimento ai luoghi in cui hai lavorato prima di venire a St Louis. Potrei iniziare con piccoli aneddoti di quando lavoravo in un pub inglese a Londra, come offerte del giorno facevo pasta fresca, ravioli e altre pietanze che mi ricordassero casa. In Germania organizzavo grandi tavolate nel giardino del ristorante e insegnavo ai clienti come fare i gnocchetti sardi a mano. A quando ai Caraibi, preparavo gli “Spaghetti della mezzanotte” ai clienti Americani che arrivavano tardi per l'ora di cena. Infine, la caffettiera Moka sempre sul fuoco per condividere un caffè con gli ospiti al Ritz-Carlton, Riyadh. Come sei venuto a sapere di questa opportunità riguardante “Casa Don Alfonso” a St Louis? Durante il mio ultimo ruolo al Ritz-Carlton di Riyadh all’inizio di quest'anno. Ho sempre desiderato lavorare negli Stati Uniti e non appena si è presentata l’occasione dell’apertura di Casa Don Alfonso a St. Louis ho fatto richiesta per un colloquio e subito dopo per una prova in cucina. Puoi condividere con noi i piatti che adori preparare? È una domanda difficile, lo so! Forse hai un piatto tipico sardo che vorresti condividere con noi? Sicuramente il pesce, in qualsiasi forma, ma adoro anche le paste, quelle che ricordano casa. Gnocchetti al sugo con salsiccia, ravioli con ricotta e bietola. Come dolce adoro fare il tiramisù. Cosa ti piace di più del tuo mestiere? Come accennato prima, la cosa che mi piace di più in questo mestiere è il contatto con gli ospiti, il fatto che scelgano di passare la propria serata nel ristorante dove cucino mi rende felice, lo trovo soddisfacente. Potrei aggiungere anche il fatto che adori dare la giusta motivazione alla mia brigata, stimolarli a dare il meglio di sè stessi. St. Louis risente della mancanza dell'autentica cucina italiana. Con l'entrata in scena di “Casa Don Alfonso” a St Louis, le dinamiche culinarie andranno sicuramente a migliorare. Quali idee avete in serbo per sviluppare la cucina italiana genuina a St. Louis? Penso sempre alla incredibile possibilità e responsabilità data, rappresentare Casa Don Alfonso quà a St Louis mi rende molto orgoglioso. L'apertura del ristorante, quà nel Missouri, darà la giusta sterzata all'immagine del autentico Made in Italy nel Missouri. Il nostro focus sarà puntato sulla scelta della materia prima, i prodotti freschi e delle eccellenze italiane. Lavoreremo su base giornaliera tutto il menu mantenendo il prodotto più autentico possibile. Non vedo l'ora di conoscervi per avere un caffè e una sfogliatella assieme. A presto! INTERVIEW IN ENGLISH A new Italian restaurant has come to St Louis. This is not just any ordinary Italian restaurant, this is Casa Don Alfonso, one of the most famed and storied Italian restaurants in all of Italy. The Italian Community of St Louis is honored to welcome Casa Don Alfonso and its head chef Sergio Chierego to St Louis. Furthermore, we are thrilled to have yet another talented native Italian with us. We welcome you to our community, Sergio. Such an outstanding institution in our city deems a fitting location and you have chosen wisely to locate yourself at the Ritz-Carlton in the heart of Clayton. Much of our community resides in and around Clayton so you will certainly have some immediate patrons.
Personally, I want to thank you for taking the time for this interview. Can you introduce yourself to our community? Where are you from originally in Italy? What inspired you to become a chef? It is my pleasure to be here. My name is Sergio, I am 32 years old, and I come from Cagliari, a city on the southern coast of the island of Sardinia. I have been travelling since the age of 17. I lived in the UK, Germany, Antigua and Barbuda and, most recently, in Saudi Arabia. Four months ago, I moved to St Louis. To be precise, I live in Clayton and I am proud to be "chef de cuisine" for Casa Don Alfonso at the Ritz-Carlton. Regarding this job and the reason why I accepted this position, it is precisely the human factor. For me, it's very simple: to cook gives me joy. Some like to boast about their creations to guests, friends, or family. For me, that doesn't matter. It's the cooking itself which gives me the greatest satisfaction. In your career as a chef, you have traveled the world. Tell us about some of the places you have been before coming to St Louis. I can start with some early memories from my time in London. In my late teens, I used to work in a English pub where, for daily specials, I would prepare fresh pastas, ravioli or dishes that would remind me of my mother's cuisine. During my time in Germany, I enjoyed organizing evening cooking classes at a restaurant garden where I would teach guests how to prepare Sardinian "gnocchetti" from scratch. I remember fondly my time in the Caribbean where I created the dish “Spaghetti della mezzanotte” to American guests who were late for dinner. That was a fun experience! A memory which stands out during my last position at the Ritz-Carlton in Riyadh, Saudi Arabia, was having my moka pot (Bialetti) always on the stove and sharing an espresso with my guests, who preferred this simple way of having coffee over all the others. How did you hear about this opportunity with Casa Don Alfonso in St Louis? I heard about the opportunity during my last job at the Ritz-Carlton in Riyadh earlier this year. Since it has always been a dream for me to work in the United States, as soon as I heard about the opportunity at Casa Don Alfonso, I immediately applied for the job. They were obviously impressed with my resume. I did some interviews and eventually they flew me to St Louis for a tasting. Can you share with us some of your favorite dishes that you enjoy preparing? It's a difficult question, I know! Perhaps you have a typical Sardinian dish that you'd like to share with us? The Sardinian fish dishes are my absolute favorite dishes to prepare in any way. I also love pasta dishes, especially the ones that remind me of my mother's home cooking. Two examples of my favorites are: gnocchetti con sugo e salsiccia and ravioli con ricotta e bietola. And of course, for someone with a sweet tooth, I love preparing a classic tiramisù. What are some things that you enjoy about being a chef? One thing that makes me enjoy this job is being in contact with guests. The fact that they choose the restaurant where I cook makes me happy. It's very fulfilling. Another factor that I enjoy about being a chef is to mentor and guide my kitchen brigade, support them and give them the rights tools to express their very best in our culinary world. With the introduction of Casa Don Alfonso to the St Louis culinary scene, how do you plan on introducing authentic Italian food to St Louisans? I always go back to the huge opportunity and responsibility that I have been given. To represent Casa Don Alfonso here is St. Louis makes me extremely proud. The restaurant opening will give the right direction to the image of the authentic Made in Italy in the St Louis area and in Missouri. Our main focus will be on the products, their freshness, and the authenticity of the Italian dishes. Every day we will cook as fresh and authentic as possible. To be honest, I can’t wait to meet all of you and enjoy a coffee and sfogliatella together. A presto! Intervista con Rebecca Messbarger su Letture.org Rebecca Messbarger è Professoressa di Lingua e cultura italiana presso il Departement of Romance Languages della Washington University di St. Louis (Missouri, USA) Prof.ssa Rebecca Messbarger, Lei è autrice del libro La Signora Anatomista. Vita e opere di Anna Morandi Manzolini edito dal Mulino: quale importanza riveste la figura di Anna Manzolini Morandi nella storia della scienza?
Anna Morandi, nonostante le sue origini umili, un limitato percorso di formazione e diverse costrizioni, di carattere culturale e sociale, imposte alle donne, divenne la più acclamata modellatrice di cere anatomiche di Bologna, città che nel XVIII secolo era celebre in tutta Europa, quale centro di eccellenza sia negli studi di anatomia sia nella realizzazione di cere anatomiche. Nacque nello stesso anno, il 1714, dell’inaugurazione dell’Istituto delle Scienze, che segnò un rinnovamento della cultura medico-scientifica bolognese dopo decenni di precipitoso declino. Anna Morandi offrì un contributo di indubbia fama internazionale a quella rinascita culturale. Tra i suoi patroni ed estimatori Morandi ebbe Papa Benedetto XIV, l’Imperatore Giuseppe II d’Austria, e Caterina la Grande, tutti e tre promotori, nonostante le loro diverse finalità, della modernizzazione degli studi anatomici. Riconobbero giustamente il ruolo e le abilità singolari espresse nella scienza anatomica da questa straordinaria donna. Ciò che la Morandi ricreava in cera non era solo ciò che vedeva e toccava sul tavolo adibito alla dissezione, quanto piuttosto una sua visione ideale di come dovessero essere rappresentate forme di carne senziente e di ossa animate. Le sue figure in cera incarnano letteralmente una mediazione tra la vita e la morte. Erano modellate da corpi morti, ma evocavano corpi viventi. Gli appunti associati alle ceroplastiche, descrivono le componenti e i sistemi del corpo umano nella sua completezza e da diverse prospettive interne ed esterne, rispetto a un contesto anatomico più ampio, in modo da permettere a studenti e amatori di comprendere in maniera esaustiva la posizione naturale di ogni singola parte, nonché la forma e fisiologia, degli elementi esaminati. Dall’alto dell’autorevolezza del suo bisturi, utilizzato in maniera certosina, Morandi si impegnò anche nello studio delle teorie anatomiche più affermate, giungendo anche a contestare nel suo repertorio anatomico di oltre 250 pagine alcuni dei maestri più autorevoli nelle scienze anatomiche, come Vesalio, Malpighi, e Morgagni. In particolare, contribuì in modo sostantivo con i suoi studi meticolosi degli organi di senso al grande dibattito settecentesco sulla distinzione tra percezione e cognizione. La serie di cere relativa a questi studi fu acquistata da sovrani e accademie lungo tutta la penisola e in Europa, da eminenti personalità e istituzioni quali il Re di Sardegna, il Doge di Venezia, l’Università di Torino, la Royal Academy di Londra, e Caterina la Grande. Un’altra figura in cera da lei scolpita che ebbe una fama clamorosa fu l’autoritratto a grandezza naturale dell’anatomista, che si vede riprodotta sulla copertina del mio libro. In questa autobiografia visiva, l’eccezionale “signora anatomista” è vestita in maniera elegante, con lo sguardo intento a rispondere all’osservatore, mentre con le mani si appresta a sezionare un cervello, sede della conoscenza umana. L’autorappresentazione è una chiara provocazione per color che dubitavano delle capacità intellettuali del genere femminile. Quali vicende segnarono la vita di Anna Manzolini Morandi? Verso la fine del 1746, il marito di Anna Morandi, l’artista Giovanni Manzolini, lasciò il suo posto come assistente delle commissioni papali per la fondazione del più eminente Museo anatomico nella penisola italica. Dopo tre anni di impegno, Manzolini accusava il responsabile del Progetto, Ercole Lelli, di avergli sottratto l’attenzione meritata per la sua supremazia nel campo della scienza e della scultura anatomica. In seguito a questa decisione, Giovanni insieme a sua moglie e collaboratrice Anna Morandi, aprirono in casa propria un laboratorio per modellare cere anatomiche e una scuola di Anatomia, al fine di istruire studenti di medicina ed esperti appassionati. Fu così che Anna, madre di due bambini, nonché artista formatasi professionalmente, a trentadue anni entrò nella vivace sfera della vita culturale bolognese a cavallo fra arte e scienze. Nel loro laboratorio, i coniugi Manzolini lavorarono insieme “smembrando” corpi umani sul loro tavolo dissettorio, ricomponendoli in meticolose figure anatomiche grazie all’uso di calchi in gesso e di modelli in cera. Ma come descritto in numerosi resoconti redatti in prima persona, era solo Anna e mai suo marito che rappresentava il volto pubblico del loro laboratorio. Lei offriva regolarmente lezioni e dimostrazioni anatomiche durante le quali presentava la vasta collezione di modelli anatomici in cera a medici praticanti e a studenti di Bologna o stranieri che giungevano sempre più numerosi presso il loro laboratorio domestico. L’atlante tridimensionale di anatomia umana, elaborato dalla coppia e descritto durante le lezioni da Anna, fornì strumenti tassonomici innovativi e uno standard di verità scientifica molto utile agli studenti di medicina e agli appassionati di scienze mediche. Con l’improvvisa morte di Giovanni Manzolini nel 1755, Anna, quarantenne e madre di due figli piccoli, dovette affrontare sia la tragica perdita del partner negli affetti e nella professione, sia la grave crisi economica in cui era precipitata la sua famiglia. Anna assunse in quel momento il controllo del laboratorio domestico e cercò aiuto presso il pontefice Benedetto XIV, il quale spinse il Senato di Bologna a darle un salario onorario annuale. Il sostegno era però talmente modesto che la donna fu costretta a portare all’orfanotrofio di San Bartolomeo di Reno il figlio maggiore di soli undici anni, rinunciando anche a ogni diritto parentale su di lui. Durante gli anni successivi alla morte del marito, e fino al 1769, quando conte senatore Girolamo Ranuzzi comprò tutta la suppellettile anatomica della Signora Anatomista e le diede per il resto della sua vita un appartamento nel suo palazzo, Anna Morandi continuò incessantemente a migliorare la propria pratica anatomica e la fama internazionale per poter mantenere il figlio minore Carlo e sé stessa, nonché per ambizione personale. Durante questo periodo un flusso costante di visitatori internazionali cominciò a presentarsi alle sue lezioni di anatomia, tanto che la donna si distinse grazie ai suoi modelli in cera come una tra i migliori esperti di anatomia e di ceroplastica in Europa. Quali caratteristiche rendono unici i suoi modelli anatomici? Anna Morandi creò la propria collezione di ceroplastiche ad uso di medici professionisti, così come di fervidi estimatori e studiosi della pratica anatomica. I suoi corpi in cera sostituirono e di fatto surclassarono, in modo innovativo, i cadaveri dissezionati. Rispetto a organi, apparati e legamenti in decomposizione, le ceroplastiche avevano il vantaggio di risultare prive di parti impure e, grazie all’uso di colori vividi e di una rappresentazione tridimensionale, risultavano quasi infuse di vita vera. Le figure anatomiche di Morandi erano uno strumento palpabile, atto a conoscere ciò che vive e agisce sotto la pelle. Le sue sculture anatomiche, rivelatrici dell’essenza interiore dell’essere umano, erano archetipi depersonalizzati, disconnessi da una narrativa di tipo biografico o da un contesto storico o morale. La ceroplasta, in contrapposizione rispetto alle modalità di illustrazione anatomica convenzionale e ai suoi rivali contemporanei in campo artistico, non rappresentò mai alcuno spellato, né figure anatomiche complete, preferendo sempre puntare la propria enfasi su visioni parziali, braccia in movimento, sistemi urogenitali in funzione, guizzanti bulbi oculari, anche porzioni vibranti di volti, tutte rappresentazioni deliberatamente sineddotiche nella loro aspirazione a evocare il contesto anatomico e fisiologico come un sistema complesso e completo. Sebbene avesse rappresentato tutti i sistemi e quasi tutti i componenti del corpo umano, gli elementi più importanti della sua opera furono la serie sugli organi sensoriali già menzionati, che Morandi duplicò per numerosi patroni, e la serie sul sistema riproduttivo maschile. All’apice della sua carriera di anatomista e ceroplasta, Morandi scolpì una serie completa di modelli in cera a dimostrazione del sistema urogenitale maschile, compresi i genitali stessi, per un totale di ventidue figure corredate da quarantasette pagine di appunti anatomici. Occorre, però, notare che questa è l’unica parte della sua opera quasi completamente sparita. Attraverso l’analisi sistematica di queste parti e funzioni del corpo riproduttivo umano maschile, Anna Morandi contribuì all’evoluzione del vivace discorso sulle differenze sessuali durante il XVIII secolo. Non possiamo ignorare il fatto che la padronanza mostrata in materia di apparati riproduttivi essendo svelata con grande maestria da una donna risultava audace per molti visitatori, incluso tra gli altri Lord Byron che commentò tali cere in varie lettere personali. Infine, quello che distingue Anna Morandi, è che lei stessa si dichiarava Maestra anatomista, decisa a condurre il proprio sguardo esperto sulla superficie e all’interno delle parti del corpo da scoprire, fra cui il cervello, gli organi di senso, e gli organi sessuali maschili. Un aspetto importante dell’opera della Morandi che continua a ricevere poca attenzione dagli storici è che era costituita da due parti complementari, la serie di figure in cera, ovvero l’atlante anatomico tridimensionale, e il «magnifico libro» di annotazioni che le descriveva. EVELYN ASTEGNO artista vicentina a St Louis Sono un'artista nata in Italia, a Vicenza. In giovinezza, ho partecipato a viaggi culturali per tutta l'Europa con la mia famiglia, visitando siti storici, archeologici e musei: esperienze d'arricchimento e ispirazione artistica. Ho frequentato il Liceo Classico, che mi ha dato una formazione di base solida, varia e stimolante. Mi sono poi laureata in Architettura all’Università Iuav di Venezia nel 1999. Tuttavia, la pittura e il disegno sono stati al centro dei miei interessi, come un modo per esprimere me stessa e di comunicare, fin da quando sono stata in grado di tenere in mano una matita.
Dopo la laurea, ho atteso a lezioni private di pittura presso il celebre illustratore Giorgio Scarato. A Vicenza, ho partecipato a tre mostre personali e altre collettive. Ho fatto ritratti su commissione e lavorato com decoratrice di maschere veneziane con soggetti personali per ditte che esportano internazionalmente. Dopo essermi trasferita a St Louis, sono stata la "resident artist" della Third Floor Gallery dal 2004 al 2007, partecipando a mostre collettive e personali. Ho lavorato come curatrice della stessa galleria nel 2008. Ho inoltre atteso a varie sessioni del “Draw Club”, partecipato a mostre organizzate da “Art Dimensions”, “Women's Caucus for Art” a St Louis, gli “Open Studios” organizzati dal Contemporary Art Museum (SLAM), a una mostra organizzata da AMP a Los Angeles e una dal "Board of Investment Art a Chicago". Ho dipinto dal vivo a St Louis ad eventi come il “Taste of St Louis”, lo “Stan Musial Gala”, e per undici anni consecutivi al Wall Ball. Nel 2014 in giugno ho ottenuto una mostra personale alla SOHA Gallery, intitolata “Masquerade: Flirting with Decadence”. Successivamente, parte dei dipinti è stata in esposizione alla Houska Gallery. Un mio ritratto di Philip Slein è stato in esposizione nell'omonima galleria del direttore e collezionista. Altre partecipazioni riguardano una lezione sulla ritrattistica al Science Center di St Louis, un'intervista alla radio con Kelley Lamm, il progetto “Faces not Forgotten' contro la violenza d'armi da fuoco. Alcuni dipinti della serie “Masquerade” sono stati esposti alla Mad Art Gallery in occasione della festa del Carnevale veneziano organizzata della comunità Italiana a St Louis, nel febbraio 2020. I miei lavori personali, che appartengono a una sorta di Realismo Magico, hanno l'obiettivo di investigare il significato dell'esistenza. Anche se lascio il discorso visuale aperto a interpretazioni individuali, cerco di trasmettere un senso profondo d'amore, in connessione con la sua suprema fonte originale. Anche e soprattutto i soggetti più cupi rivelano una finestra sulla speranza. La mia attenzione ai dettagli e al realismo, in un contesto complessivamente surreale, è solo uno strumento per incuriosire e coinvolgere la gente in questo processo. Anche il dettaglio piu intricato rimane in qualche modo incompiuto, in modo da evitare che diventi auto referenziale e che perda il suo potere di connettersi con gli altri dettagli e con l'intera sostanza. Allo stesso modo, la mia scelta di tecniche è pure determinata dallo sforzo di comunicare tali significati. Mentre la maggior parte dei miei dipinti sono fatti ad acrilico o olio, e i miei disegni a carboncino o pastelli colorati, ho anche dipinto su stoffe con particolare attenzione ai dettagli, mentre ho fatto murali con una sorta di vena impressionistica. Solitamente, idee diverse sullo stesso argomento, schizzate su carta, si integrano in una composizione dinamica e significativa che, anche quando è complessa, non lascia spazio a dettagli superflui. In un certo modo, i miei dipinti possono essere visti come pensieri tradotti in immagini. Ho anche lavorato e continuo a lavorare su commissione, di solito su ritratti a olio o carboncino, concentrandomi sulle richieste specifiche dei committenti. Nei miei ritratti mi piace rappresentare la somiglianza fisica e anche il carattere e l'anima delle persone ritratte. Seguendo un'inspirazione che è diventata sempre più chiara e forte nel corso degli anni, ho cominciato e continuerò a produrre dipinti personali incentrati sulla fede cristiana/cattolica. Il mio scopo è di mostrare l'amore di Dio, mentre sfido gli osservatoria meditare su alcune degli aspetti della vita piu difficili e a volte estenuanti, in connessione con la fede. Intervista esclusiva di Michael Cross a Nicola Aravecchia, PhD, professore di archeologia alla Washington University in St Louis Raramente le parole "archeologia" e "St Louis" vengono utilizzate nella stesso contesto, a meno che ovviamente non si parli di Cahokia Mounds, le strutture create dai popoli precolombiani lungo il fiume Mississippi. A parte i pochi ricercatori che si avventurano a Cahokia, St Louis non viene considerata dagli archeologi, la loro “casa”. Ecco perché è un privilegio intervistare il Prof. Nicola Aravecchia, famoso archeologo ed egittologo, proprio a St. Louis.
Raccontaci di come sei entrato nel mondo dell'archeologia? Cosa ti ha ispirato a intraprendere questo viaggio unico ed emozionante? Fin da bambino sono stato affascinato dalla storia antica, in particolare quella dell’antica Roma. Essendo cresciuto vicino a Modena, ho avuto molte possibilità di confrontarmi con le testimonianze archeologiche della civiltà etrusca e di quella romana. E anche mia madre ha svolto un ruolo molto importante nel trasmettermi l’amore per il mondo antico. Quando è arrivato il momento di iscrivermi alle scuole superiori, non ho avuto dubbi nella scelta del liceo classico, che mi ha permesso di studiare, tra l’altro, il Latino e il Greco antico, due delle mie materie preferite. Dopo la maturità, ho conseguito una laurea in Lettere Classiche all’Università di Bologna. Non solo ho approfondito la mia conoscenza delle lingue classiche, ma ho sviluppato un interesse particolarmente forte per l’archeologia, in particolare di epoca tardoantica e bizantina. Ottenuta la laurea, ho deciso di trasferirmi a Minneapolis, dove ho intrapreso un Master in arte e archeologia antica e medievale, seguito da un Dottorato di ricerca in storia dell’arte, entrambi presso l’Università del Minnesota. È stato durante la mia permanenza alla UofM che ho effettuato scavi nell’Alta Galilea, dove ho fatto ulteriore esperienza nell’archeologia di campo. Nello specifico, quando ti sei interessato all'egittologia? Anche se la mia formazione scolastica è stata incentrata sullo studio delle lingue classiche e della cultura materiale dell'antica Grecia e di Roma, sono sempre stato affascinato (come tanti di noi!) dalla civiltà egizia. Durante i miei studi di Dottorato, seguii un seminario sull'archeologia monastica dell'Egitto paleocristiano e rimasi immediatamente colpito dall’affascinante mondo del cristianesimo copto egiziano. Quello fu il momento in cui decisi di concentrare la mia formazione professionale sull’Egitto cristiano antico. Iniziai immediatamente a studiare il Copto (l'ultima fase della lingua egiziana), a seguire numerosi corsi sull’Egitto tardoantico e a partecipare a conferenze in materia. Fu durante una di queste conferenze che ebbi la grande fortuna di incontrare Roger Bagnall, stimato studioso dell’Egitto greco-romano e direttore di un progetto archeologico a Dakhla, un’oasi del deserto occidentale egiziano. Il prof. Bagnall mi invitò a partecipare ai suoi scavi nel 2005 e il resto è storia! Di quale tipo di ricerche specifiche ti occupi alla Washington University di St. Louis? Cosa insegni ai tuoi studenti? Parlaci di cosa ti ha colpito di più dei dipartimenti di lettere classiche e di storia dell’arte e archeologia della Washington University. Alla WashU ho il grande privilegio di lavorare per due dipartimenti, ovvero Lettere Classiche e Storia dell'Arte e Archeologia. Ciò mi permette di sfruttare appieno le mie conoscenze e i miei interessi, che includono le lingue classiche e l’archeologia classica e tardoantica. Un altro grande vantaggio di essere alla WashU è che posso collaborare con un vasto numero di colleghi eccezionali, sia nei miei due dipartimenti che in altri dipartimenti e programmi. I miei attuali interessi di ricerca si concentrano sulle origini delle prime comunità cristiane dell’Egitto tardoantico, in particolare nelle oasi del deserto occidentale egiziano. Mi considero molto fortunato perché ho spesso la possibilità di includere i risultati delle mie ricerche nell’ambito dell’insegnamento, ad esempio in un corso sull’arte e archeologia dell'Egitto greco-romano. Insegno anche un corso sull'arte e architettura dell’Egitto di epoca faraonica e, di recente, ho creato un nuovo corso sulle origini dell’urbanistica nel Mediterraneo antico e nel Vicino Oriente. Oltre a questi corsi, che vengono offerti dal Dipartimento di Storia dell’Arte e Archeologia, insegno anche Latino nel Dipartimento di Lettere Classiche. Non potrei essere più felice di appartenere a entrambi i dipartimenti! Sin dal mio arrivo alla WashU a inizio 2018, tutti i miei colleghi sono stati estremamente solidali, collegiali e amichevoli. Per non parlare delle numerose risorse, fondamentali per la mia crescita professionale, che la WashU mi ha messo—e mette—a disposizione e che rendono questa istituzione uno dei posti migliori in cui insegnare e fare ricerca. Vorrei anche sottolineare l’alto livello qualitativo degli studenti che frequentano la WashU. Non solo sono brillanti e motivati da un forte desiderio di apprendere, ma sono anche rispettosi, gentili e simpatici! Un anno fa hai tenuto una conferenza al nostro club "Italiano per piacere" sul tema delle tue recenti scoperte in Egitto ed in particolare sui ritrovamenti di chiese cristiane conservate nel deserto del Sahara. Potresti raccontarci le tue esperienze in Egitto, per coloro che non hanno potuto essere presenti? Hai novità interessanti da condividere con noi? Come accennato in precedenza, ho svolto ricerche sul campo in Egitto dal 2005, come membro di una missione internazionale della Columbia University (successivamente New York University). I nostri scavi si svolgono nell’Oasi di Dakhla, situata in un’area remota nel mezzo del deserto occidentale egiziano. A causa del suo isolamento geografico (circa 800 km a sud-ovest del Cairo), questa regione è stata meno soggetta all’esplorazione archeologica nei secoli precedenti. Tuttavia, negli ultimi decenni si sono susseguite numerose missioni di ricerca, che hanno scoperto testimonianze importanti sul ruolo strategico svolto dalle oasi del deserto occidentale nella storia dell'Egitto faraonico e greco-romano. Tra il 2006 e il 2010 ho lavorato, in qualità di direttore archeologico, agli scavi di ʿAin el-Gedida, un villaggio del quarto secolo d.C. dove il nostro team ha identificato un complesso ecclesiastico tra i più antichi scoperti finora in Egitto. Particolarmente significativa è anche l’identificazione del sito come un epoikion, un termine greco che si riferisce a un piccolo insediamento rurale (spesso associato a una grande tenuta agricola). Il valore di questa scoperta sta nel fatto che tale forma di insediamento è ben nota in base a numerosissime fonti documentali, ma non ne è stata trovata alcuna testimonianza archeologica fino ai nostri scavi. Oltre agli scavi di ʿAin el-Gedida, sono coinvolto, come vicedirettore archeologico, negli scavi ad Amheida, un'importante città di Dakhla risalente al quarto–quinto secolo d.C., dove sono stati trovati resti di un tempio, una scuola, una casa con ricche decorazioni parietali e perfino un vasto impianto termale. Dal 2012 sono impegnato nello scavo di una chiesa di quarto secolo con annessa cripta funeraria (la più antica scoperta finora in un contesto cristiano in Egitto). A quali progetti stai lavorando attualmente? Vuoi raccontarci qualche dettaglio a riguardo delle tue ultime avventure in giro per il mondo? Al momento, sto usufruendo di un anno sabbatico per lavorare al mio prossimo libro, uno studio archeologico e storico-artistico sulla chiesa che il mio team ha portato alla luce ad Amheida. Questa chiesa aveva caratteristiche che erano relativamente comuni nell'architettura cristiana dell'Alto Egitto nella tarda antichità, inclusa una pianta basilicale con navata centrale, navate laterali e un’abside con stanze di servizio ai lati. Notevole è il fatto che l’adozione della pianta basilicale in un’oasi remota del deserto occidentale avvenne all'incirca nello stesso periodo in cui furono costruite le prime basiliche cristiane a Roma e nel resto del Mediterraneo. Ciò suggerisce che gran parte del mondo antico era significativamente più ‘interconnesso’ di quanto si potrebbe inizialmente supporre, soprattutto considerando la lontananza geografica di alcune di queste oasi dai principali centri urbani della Valle del Nilo e del Delta egiziano. Sebbene si sappia poco o nulla delle pratiche liturgiche svolte all'interno della chiesa di Amheida nel quarto secolo, le testimonianze archeologiche dimostrano che l’edificio funse anche da complesso funerario. Questa associazione di un luogo di culto cristiano con pratiche funerarie era già nota nell’Oasi di Dakhla prima dell’identificazione di questa chiesa. Tuttavia, la scoperta di una cripta funeraria sotterranea rende la chiesa di Amheida un edificio di grande importanza. Come ho menzionato in precedenza, l’ipogeo, situato sotto la zona dell’abside (e delle due stanze laterali) è la più antica cripta funeraria cristiana ritrovata in Egitto sino ad oggi. Pertanto, la sua identificazione fornisce un contributo significativo allo studio dell'architettura funeraria, nonché delle pratiche funerarie cristiane, con particolare riferimento all’Egitto tardoantico. Sto trascorrendo il semestre autunnale del 2020 presso il Centre for Classical and Near Eastern Studies of Australia dell’Università di Sydney e presso il Dipartimento di Storia Antica della Macquarie University, sempre a Sydney. Durante la primavera del 2021, continuerò a lavorare al mio libro come Fellow a Dumbarton Oaks, un istituto di ricerca dell'Università di Harvard con sede a Washington, D.C. Questa borsa di studio mi consentirà di avere accesso a una ricchissima collezione di risorse presso la biblioteca dell'istituto e di condividere le mie ricerche con la locale comunità accademica, prima della pubblicazione finale del volume. Quali sono i tuoi progetti di scavo per i prossimi anni? Al momento, gli scavi nell’Oasi di Dakhla sono sospesi, a causa della situazione di instabilità nel deserto occidentale. Tuttavia, spero di poter riprendere il progetto in un prossimo futuro e di poter anche portare studenti della WashU in Egitto per fare esperienza di scavo. Sto anche sviluppando un nuovo progetto di ricerca in un’altra regione del Mediterraneo, in collaborazione con alcuni colleghi dell’università. Al momento, sto vagliando idee e opportunità ma non vedo l’ora di condividere maggiori dettagli con i miei colleghi e studenti della WashU e anche con i miei amici della Comunità Italiana di St. Louis! Nicola, ti ringraziamo per aver dedicato del tempo per questa intervista; è per noi stato un piacere scoprire molte curiosità riguardanti il mondo dell'archeologia. E’ evidente che tu osserva il mondo sotto un’ottica diversa. Speriamo che le tue scoperte ed i tuoi contributi alla storia del mondo non passeranno inosservati. Attendo con ansia il nostro prossimo caffè insieme. |
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April 2021
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