MICHAEL CROSS President, St Louis - Bologna Sister Cities I'm excited to announce that Guidester's "Best of Italy" Tour is sold out! This one-of-a-kind trip gives St Louisans an opportunity to explore Italy with one of the most dedicated and insightful tour guides in St Louis, Jack Baumann, who often takes the road less traveled. His behind-the-scenes tours put an emphasis on wine country experiences, educational and art tourism, and the hidden gems of Italy's gastronomic treasures. This year's trip, September 1 - 12, 2022, is the first of many planned annual tours partnering with the Italian Community of St Louis.
"I’m excited to be leading a second tour through some of my favorite areas in Europe," Jack said, in a statement. "We will spend five nights in Rome exploring the highlights and hidden gems of the Eternal City, then head north to Siena for four nights to discover Tuscany’s hilltop villages, historic wineries, and lush landscapes. For those on the post-tour we will spend an extra two days in Bologna, known as Italy’s food capital and home to the world’s oldest university!" As Jack mentioned, this spectacular tour will culminate in St Louis' sister city, Bologna, where we will celebrate the 35th anniversary of the St Louis - Bologna Sister Cities, founded in 1987. I am thrilled to accompany Jack on his tour this year which focuses on the Heart of Italy, beginning in Rome and continuing to the Tuscan countryside with visits to Florence, Siena, and other villages in the rolling hills of Italy's most iconic region. For those who are not able to join us this year, Jack Baumann plans on another "Best of Italy Tour" next year. Stay tuned for more details. For inquiries, feel free to email: stlouisitalians@gmail.com
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SALVO PRIVITERA corrispondente Il Quoziente Intellettivo (QI) è un punteggio che viene ottenuto attraverso un test che ha lo scopo di misurare o valutare l'intelligenza, ovvero lo sviluppo cognitivo dell'individuo. Ovviamente questo non è un'indicatore assoluto dell'intelligenza, ma un alto QI è collegato a molte menti geniali.
Quello di un individuo medio è tra 85 e 115; un punteggio superiore a 130 indica un'intelligenza eccezionale e superati i 160 punti ci sono molte probabilità di essere un genio. Il compianto Stephen Hawking, ad esempio, aveva un QI di 160, lo stesso di Albert Einstein. Questa ragazzina che a soli 9 anni sta frequentando l'università, invece, ha un quoziente intellettivo di 162. Tuttavia, la persona con il QI più alto mai registrato è Marilyn Vos Savant, con 228. Figlia di un immigrato italiano e tedesco, Vos Savant nacque a St. Louis, Missouri, nel 1946. Le sue capacità cognitive avanzate erano evidenti sin dalla giovane età e a soli 10 anni mostrava già livelli di intelligenza comparabili a quelli di un adulto. La donna decise di mostrare la sua impressionante intelligenza al comitato del Guinness World Records negli anni '80 utilizzando due test: quello di Stanford-Binet e il Mega, ottenendo il primato e rimanendo negli annali, per sempre. Il Guinness World Records, infatti, decise di interrompere la categoria nel 1990, affermando che i test del QI erano troppo inaffidabili per giustificare un unico detentore del record. Marilyn è un'editorialista e saggista statunitense e sin dal 1986 scrive sulla rivista Parade, dove risponde alle domande dei lettori su una varietà di argomenti e risolve enigmi logico-matematici; Vos Savant ha risolto molti problemi, come quello di Monty Hall, e si diletta a creare puzzle. PAOLA ANNONI viaggiatrice e scrittrice St Louis è una città in cui fermarsi, per una serie di motivi che potrebbe essere pressoché infinita, ma capitanata decisamente da uno: la frozen custard di Ted Drewes, un gelato (non è proprio gelato, è più pesante!) così buono e cremoso che ancora me lo sogno di notte. Ma partiamo dall’inizio. St Louis è una città indipendente del Missouri, (cioè non risponde a nessuna contea ma solo allo stato) lo stato in cui sono stati inventati il cono gelato (1904), il tè freddo (anche se non so bene come si possa “inventare” una cosa che prima è semplicemente calda!), la 7-up (la concorrente della Sprite) e soprattutto il burro di noccioline (ho trovato informazioni che dicevano “inventato” altri riportavano la dicitura “scoperto”…) ed è il posto in cui il consumo pro capite di salsa BBQ è più alto che in qualsiasi altra città americana. Quindi sì, a St Louis, è un posto in cui fermarsi a mangiare bene e tanto. Appena arrivati io ho imposto che si andasse a mangiare lontano da BBQ e da posti in cui potessero servirmi costine o carne in generale, e ho scelto (come mio solito), un ristorante vietnamita. Il Pho Grand è decisamente buono e davvero vietnamita, visto che il profumo del pho mi ha quasi commossa e il conto era sulla stessa lunghezza d’onda. Economico e buono. Self five per me! Ma la cena in realtà era tutta una preparazione al gran finale della giornata: la tanto attesa frozen custard di Ted Drewes, celebre per essere nella punta finale della Route 66 ed avere la fama di miglior frozen custard EVER. Effettivamente è divina. Io – per stare leggera – ho optato per butterscotch con pezzi di noci pecan. Te lo danno in un bicchiere della bibita, ancora più cremoso di quando fai la pappetta col gelato un po’ molle. Cremoso, dolce, denso. Da impazzire. Ne abbiamo provato un altro. E io avrei passato la serata lì. La mattina dopo, anche se era sabato e quindi tradotto significa “giornata in cui tutti i genitori con bambini si muovono da casa”, abbiamo scelto di fare una tappa allo Zoo visto che è-incredibilmente- gratuito. Ovvio, poi paghi un gelato il costo di una cena di pesce, però se non consumi nulla e non ti convincono a comprare un peluche a forma di koala ad ogni passo… E’ comunque un’attività a costo zero! Lo zoo è bellissimo e gli animali sembrano davvero tenuti bene. Ecco, magari la parte sulle bestioline che vivono in casa con te e che ti ricordano “che non sei solo in casa” me la sarei evitata: almeno per non continuare ad alimentare le mie fobie. Lo zoo è di per sè enorme ed è inserito in un gigantesco e ricchissimo parco chiamato Forest Park che, tanto per capirci, è più grande di Central Park di ben 2 chilometri quadrati. E’ stato aperto nel 1876 e si mantiene alla grande, e ovviamente ci si potrebbero passare intere giornate dato che al suo interno si trovano tantissime attrazioni come il museo d’Arte di St.Louis, quello delle scienze (con Planetario), un teatro all’aperto (The Muny), un museo di storia del Missouri, un campo da Golf, tennis, noleggio biciclette e … Ovviamente tantissimi punti di ristoro. Tappa decisamente imperdibile. Ma visto che avevamo una singola giornata per visitare la città abbiamo dedicato pochissimo tempo al parco, ci siamo rimessi in macchina decisi a girare a zonzo per la città e respirarne almeno un po’, la piacevole aria da cittadina americana. Perché è questo che mi è piaciuto tantissimo della città: anche se ha più di 300.000 abitanti ha in buona parte ancora quell’aria da paese “un po’ troppo allargato”. Giriamo per quartieri residenziali e decidiamo di fare due tappe insolite: ci fermiamo a mangiare una pizza in uno dei tanti punti vendita di Imo’s, celebre catena conosciuta per la famosa Thin Crust pizza, tipica della città. Le caratteristiche? Crosta sottile e non lievitata (a differenza della Deep dish di Chicago o quella di New York, sottile ma con il lievito… E che decisamente assomiglia a quella che noi chiamiamo pizza) e guarnita con qualsiasi cosa un pizzaiolo trovi nel frigorifero oltre ad un formaggio – Provel – al posto della mozzarella (per curiosità, googolatelo). Allora, io non sono napoletana a e quindi di pizza ne so nei termini di una persona nordica che mangerebbe questo piatto per colazione pranzo e cena per il resto dei suoi giorni. Ma questa non è pizza. Proprio è quanto di più lontano esista dal piatto italiano. Oltre al fatto che il formaggio si attacca violentemente ai denti e serve uno scalpello per levarselo. La base di pasta è, in realtà, solo un supporto per un carico eccessivo di condimenti pesantissimi. Bocciata, tristemente. La prima pizza che ho mangiato negli States (sì, giuro, la prima mai mangiata in 100 giorni!) era assolutamente, terribile. Riprendiamo la macchina e facciamo un giretto sulla “Hill”, la collina riservata alla Little Italy della città: decisamente nulla di che… A parte che le strade disastrate mi facevano sentire decisamente a casa. Con una dose extra di cipolla non richiesta abbiamo girato la macchina verso una delle attrazioni imperdibili per gli amanti della birra e non: la fabbrica della Budweiser. La Anheuser-Busch è una gigantesca, enorme, incredibile macchina che funziona a ciclo continuo: un’organizzazione del genere l’ho vista solo nella casa – museo di Elvis, Graceland. Tu entri, ti danno il biglietto del colore del tour, ti chiamano, ti portano nelle stalle dei cavalli (ok, questa parte non l’ho capita), giretto nella fabbrica, documentario e via.. A ciclo continuo, gentili ragazze ti spiegano tutto e ti portano dove potrai scegliere che birra degustare. La tua esperienza nella celebre birreria è offerta per soli 10$. E’ enorme, un’industria pazzesca e tutto è programmato maniacalmente al secondo. Affascinante. Per il pomeriggio ci siamo tenuti lui, il pezzo da 90, il simbolo della città: Il Gateway Arch. Chiamato anche Gateway to the West, è il più alto monumento dell’emisfero settentrionale, e ai miei occhi il fato più stupefacente è che sia stato costruito tra il 1963 e il 1965, anche se sembra davvero modernissimo. E’ stupendo, soprattutto al tramonto. La domanda è, salire o non salire? No, non salite. Non fatelo. State giù guardatelo dal basso e immaginate quanto potrebbe essere bello salire e vedere tutto dall’alto. Non salite realmente, fatelo con l’immaginazione. Adesso vi spiego perché. Partite dal presupposto che viaggio con un ingegnere. Uno che mi porta a vedere, ponti e dighe e sospira e che è quasi riuscito a affascinarmi totalmente (ho detto quasi eh!) che l’architettura di alcune case è meravigliosamente bella. Tradotto significa che la discussione non è nemmeno stata aperta: si sale. Ma non è così semplice. C’è il biglietto per salire abbinato ad un film su Lewis & Clark – i due famosi esploratori – oppure un pallosissimo documentario (ovviamente girato negli anni ’60) sulla costruzione passo a passo di questa splendida struttura. PASSO DOPO PASSO. Una noia mortale con il ritmo brillante della Corazzata Potëmkin. Gianni, ovviamente, era entusiasta. E così sono passati 40 minuti. Io almeno li ho trascorsi dormendo beatamente… per una buona parte. Abbiamo poi aspettato gironzolando per il museo del Visitor Center, decisamente grande ma… Non abbastanza grande per occupare un’ora intera. E poi, con molta molta calma ci siamo messi in fila per la salita nell’orario scritto sul biglietto. Una lunga, lunghissima coda in cui l’unica attrazione divertente in un’ora di attesa (oltre alle disegnatissime unghie della ragazza che ci metteva in fila) è stato vedere un signore che assomigliava tantissimo a mio padre, ma in versione Hippie. Dall’ingresso al visitor center al momento in cui abbiamo appoggiato il sedere nella cabinovia che porta in cima sono passate esattamente 2 lunghissime ore. La salita corrisponde più o meno a questo. Ti metti in fila su in quattro per gradone e sia aprono le porte di queste minuscole gabbiette di ferro (ovviamente senza finestre) e tu ti devi infilare dentro. Non conta se siete quattro rugbysti o 4 nani, tu ci devi stare. Ho capito cosa prova il mio piumone quando a tutti i costi cerco di farlo entrare in lavatrice. E poi si chiudono le porte in maniera sinistra, con un “clangk!” assordante. Comincia la salita. Tre lunghi minuti di rumori agghiaccianti. Ovviamente essendo una costruzione del 1965, al tempo, non avevano grandi tecnologie, e la cosa più pratica era, evidentemente, una cerniera e una catena (tipo bicicletta per intenderci) e una salita a scatti in cui, anche se non sei claustrofobico, ti manca l’aria. E poi dici: “ ho fatto due ore di coda, ho dovuto godere dell’ascella di una famiglia di indiani, sono stata rinchiusa qua dentro… Beh, il premio sarà super!” E invece… Arrivi in alto e ci sono queste piccole finestrine, da cui si vede poco, perché, ovviamente, non sono un granchè pulite. Gente che si fa selfie con entusiasmo e io che mi chiedo se saranno soddisfatti di questa parete sullo sfondo. Noi abbiamo beccato un tramonto decente e, ammettiamolo, la vista sulla città è stupefacente (se non c’è foschia). Ma non ne vale la pena se avete poco tempo… Ho avuto la netta sensazione che avremmo potuto impiegare il tempo in tutt’altro modo. Non salite. State sotto, godetevi la meraviglia, toglietevi le scarpe nel parco e godete del tramonto, respirate a fondo. St. Louis è bella, dedicatele tempo. Fucsia Nissoli (FI): Ridare la cittadinanza a chi l'ha persa in seguito a espatrio nello ius scholae6/22/2022 SALVATORE VIGLIA corrispondente “Oggi sono intervenuta nell’Aula di Montecitorio, dopo essere già intervenuta in Commissione affari esteri, sul tema della cittadinanza per esprimere la mia delusione per l’esclusione del riacquisto della cittadinanza dall’esame dello ius scholae.
Tra le forze politiche c’è qualcuno che sostiene che non si può allargare l’orizzonte dello ius scholae a chi vive all’estero ma la condizione di fatto di tanti italiani è la stessa degli immigrati che hanno studiato qui e cioè scuola in Italia e mancanza di cittadinanza. Allora perché non permettere anche a loro di riacquistare la cittadinanza italiana visto che sono già italiani di fatto? Vogliamo che gli italiani di fatto si possano sentire italiani a tutti gli effetti e quindi anche secondo il diritto, invito tutti a cogliere questa opportunità, in questo momento servono coesione e responsabilità!” Lo ha dichiarato l’on. Fucsia Nissoli Fitzgerald, deputata di Forza Italia eletta in Nord e Centro America, intervenendo nell’Aula di Montecitorio. FRANCESCA LA MARCA Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America Il 15 giugno la Commissione Affari Esteri della Camera ha iniziato l’esame, in sede consultiva, del provvedimento che reca modifiche alla legge n. 91 del 1992 in materia di cittadinanza italiana. La Commissione, infatti, è tenuta ad esprimere il proprio parere sulla proposta attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali.
La relatrice Di Stasio ha illustrato il provvedimento che dovrebbe arrivare in Aula per la fine di giugno. Giova ricordare che il testo in esame punta esclusivamente ad introdurre una nuova fattispecie di cittadinanza orientata al principio dello ius scholae con l’obiettivo di garantire la cittadinanza italiana ai minori stranieri nati in Italia che abbiano risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese e abbiano frequentato regolarmente uno o più cicli scolastici. La relatrice, ai fini delle competenze della Commissione, ha voluto richiamare l’attenzione dei commissari sui diversi temi che, pur non rientrando nel perimetro della riforma in discussione, riguardano la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis per i nati all’estero e il riacquisto della cittadinanza italiana. Su questi temi, del resto, sono stati presentati numerosi emendamenti ancora all'esame della Commissione Affari Costituzionali. L’on. La Marca, intervenuta nel corso della discussione, ha auspicato che il parere della Commissione Affari Esteri esprima un orientamento favorevole anche sulla possibilità di riacquisire la cittadinanza italiana da parte di coloro che l’hanno perduta. “Gli emendamenti che ho presentato in Commissione Affari Costituzionali – ha sottolineato l’on. La Marca – riguardano aspetti particolari e circoscritti. Due emendamenti affrontano la perdita della cittadinanza da parte delle donne che hanno sposato uno straniero prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Chiedo, in sostanza, di adeguare la normativa ai principi riconosciuti da tutta una serie di sentenze, consentendo di fare un passo in avanti sul piano della parità di genere e permettendo ai figli di queste donne, nati prima del 1° gennaio 1948, a loro volta, di poterla riacquisire. L'altro emendamento riguarda chi è nato in Italia e che, dopo essere emigrato, ha perduto la cittadinanza italiana perché ha dovuto assumere per ragioni di lavoro e di vita la cittadinanza del Paese di residenza. Con l'emendamento chiedo che questi cittadini possano riacquisirla senza dover soggiornare in Italia per almeno dodici mesi, come prevede la legge attualmente in vigore, ma presentando l’istanza direttamente al consolato di riferimento". “La Commissione Affari Costituzionali – ha ricordato la deputata democratica a margine della riunione - ha deciso di accantonare, tra gli altri, anche questi emendamenti. Questa decisione è stata presa con l’obiettivo di raggiungere in tempi brevi un testo condiviso e di dare al nostro Paese una norma di civiltà assolutamente non rinviabile. Una riforma che condivido con convinzione. Tuttavia, non posso non rilevare che questa occasione dovrebbe essere utilizzata anche per risolvere questioni altrettanto urgenti che aspettano da tempo una soluzione. Sottolineo con forza che i cittadini nati in Italia, che sono stati costretti ad emigrare alla ricerca di un futuro migliore e che hanno dovuto rinunciare alla cittadinanza italiana, hanno il diritto di poterla riacquisire, inoltrando la domanda direttamente ai consolati senza tornare obbligatoriamente in Italia. È assurdo che questi italiani siano costretti a rinunciare perché impossibilitati a muoversi per motivi di salute, familiari ed economici. Sollecito, dunque, la Commissione Esteri, nel proseguo dei suoi lavori sulla materia, ad esprimere un orientamento favorevole a queste problematiche e agli emendamenti che rappresentano un atto dovuto e giusto nei confronti dei nostri emigrati”. MARIO LETTIERI & PAOLO RAIMONDI ItaliaOggi.it Che la pandemia e la guerra in Ucraina abbiano causato grandi turbolenze economiche globali non è in discussione. Non è vero, però, che siano le sole cause dell'inflazione nel mondo e dell'incipiente recessione economica. Non si può nascondere sotto il «tappeto» della pandemia e della guerra tutta «l'immondizia speculativa finanziaria» che ci trasciniamo da decenni. Anche i recenti avvisi di crisi fatti da alcuni esponenti della finanza non devono trarre in inganno. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, si aspetta «un uragano economico» provocato dalla riduzione del bilancio della Fed e dalla guerra in Ucraina. Lorsignori sono preoccupati della bolla finanziaria che hanno creato più che delle sorti dell'economia. È come il grido di un drogato che non ha più accesso alla droga.
Basta analizzare il bilancio della Federal Reserve per comprendere meglio il problema. Dai 900 miliardi di dollari precrollo della Lehman Brothers, esso era arrivato a 4.500 miliardi nel 2014. C'è stata un'imponente immissione di liquidità per salvare il sistema. Poi, dall'inizio della pandemia si è passati da 4.100 agli attuali 9.000 miliardi di dollari. Più del doppio in due anni! Questo comportamento è stato replicato dalla Bce e dalle altre banche centrali. Negli Usa una parte rilevante è andata a sostenere «artificialmente» le quotazioni di Wall Street e i corporate debt, cioè i debiti delle imprese spesso vicini ai livelli «spazzatura». A ciò si aggiunga la politica del tasso zero e negativo che ha favorito l'accensione spregiudicata di nuovi debiti, con il rischioso allargamento del cosiddetto «effetto leva», e ha generato titoli, pubblici e privati, per decine di migliaia di miliardi a tasso d'interesse negativo. Di fatto la Fed, e in misura minore le altre banche centrali, è diventata una vera «bad bank». L'impennata dell'inflazione ha reso il loro accomodante modus operandi non più sostenibile. L'aumento del tasso d'interesse e la riduzione dei quantitative easing stanno facendo saltare il banco. Anche la narrazione della crescita dell'inflazione non regge. Non basta sostenere che sia l'effetto degli squilibri generati dalla ripresa economica e dalla guerra. Sarebbe stupido negarne l'effetto. La narrazione, però, fa sempre perno sul meccanismo «imparziale e oggettivo» della domanda e dell'offerta. Cosa che però non si è pienamente manifestata con la diminuzione dei prezzi quando la domanda era scesa all'inizio del Covid. Nei mesi della pandemia non c'è stata una smobilitazione industriale mondiale tanto grande da giustificare le forti pulsioni inflattive generate da una modesta ripresa economica e dei consumi. Anche il rallentamento delle «catene di approvvigionamento» è stato esagerato da una certa propaganda interessata. Occorre mettere in conto l'effetto dell'enorme liquidità in circolazione e la necessità per il sistema finanziario di generare a tutti i costi dei profitti, anche con la speculazione. Ecco alcuni dati per una più corretta valutazione dell'inflazione. Riguardo all'indice dei Global Prices of Agriculture Raw Materials, le derrate alimentari, la Federal Reserve Bank di St Louis riporta che mediamente era di 91 punti ad aprile 2020, 114 un anno dopo e 123 ad aprile 2022. Il prezzo del petrolio Wti, che era 18 $ al barile ad aprile 2020, aveva già raggiunto i 65 $ un anno dopo. A maggio 2022 superava i 114 dollari. Simili andamenti sono riportati dal Fmi per l'indice delle commodity primarie che sale progressivamente dai 60 punti del 2020 per poi crescere vertiginosamente negli ultimi mesi fino a raggiungere i 150 punti. Evidentemente gli effetti della guerra e delle sanzioni incidono non poco sull'impennata dei prezzi di detti prodotti. L'indice dei prezzi dei fertilizzanti della Banca mondiale, che nell'aprile 2020 era 66,24 a dicembre 2021 era esploso a 208,01. L'aumento del 60% negli ultimi due mesi del 2021 ha devastato gli agricoltori di tutto il mondo. Ancora una volta la fa da padrone la speculazione. È singolare che si chieda l'immediata sospensione delle attività belliche e non s'intervenga contro la speculazione i cui effetti devastanti si riverberano a livello globale. MICHAEL CROSS President, St Louis-Bologna Sister Cities The Italian Community of St Louis welcomes two great curators of Italian art to St Louis: Yuri Primarosa of the Gallerie Nazionali di Arte Antica in Rome and Roberto Palermo of the Gallerie degli Uffizi in Florence. Both curators are in St Louis on behalf of their respective museums for the closing of the Saint Louis Art Museum's exhibition "Paintings on Stone" Yuri is a curator at the National Galleries of Ancient Art (Gallerie Nazionali di Arte Antica) in Rome. His interests focus mainly on the paintings and graphics produced in Rome in the seventeenth and eighteenth centuries, to which he has dedicated numerous contributions. He obtained his bachelor's degree in art history at La Sapienza University of Rome, writing his thesis on Karel van Vogelaer and "still life" in Baroque art. In 2015, he obtained his PhD also from La Sapienza, writing his thesis on Ottavio Leoni. Yuri has published a comprehensive catalogue of Leoni's works for Ugo Bozzi Publishers entitled "Ottavio Leoni (1578-1630), Eccellente miniator di ritratti. Catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni (Rome, 2018)". As noted previously, Yuri is also interested in painting and graphics in Rome in the 17th and 18th centuries. He is the author of the essay "Irving Lavin, Bernini and the Unity of the Visual Arts, 1980", in the publication La riscoperta del Seicento (The Rediscovery of the Seventeenth Century), I libri fondativi, within the first volume of the Quaderni di Ricerca della Fondazione 1563 (Genova, 2017). In 2015 he was the winner of a Scholarship for Advanced Studies from the 1563 Foundation for Art and Culture, with a project on the figure of Elpidio Benedetti (1609-1690), agent of the French crown in Rome. The research shed new light on the artistic commissioning and intermediary activity of Giulio Mazzarino and Jean-Baptiste Colbert at the Holy See. Through an in-depth documentary survey conducted in the Roman and Parisian archives, Primarosa shed light on a key figure in the Roman scene of the second half of the seventeenth century. Roberto Palermo is the senior photographer and a curator of art at the Uffizi Museum in Florence which houses works of Leonardo da Vinci, Michelangelo, Caravaggio, and Raphael. Born in Puglia, Roberto studied at the University of Florence. Since 1999, he has been creating art catalogues for the Uffizi Museum specializing in the professional reproduction of antique pieces of art in the graphic field for exhibition purposes and in the digital scanning of works of art through UV/IR systems for studio usage, research and scientific purposes. Yuri è conservatore presso le Gallerie Nazionali di Arte Antica a Roma. I suoi interessi scientifici vertono prevalentemente sulla pittura e sulla grafica prodotte a Roma nei secoli XVII e XVIII, a cui ha dedicato numerosi contributi. Yuri ha conseguito la specializzazione in Beni Storico-Artistici presso La Sapienza Università di Roma, discutendo una tesi su Karel van Vogelaer e la natura morta in età barocca. Nel 2015 ha conseguito il dottorato di ricerca nello stesso Ateneo, discutendo una tesi su Ottavio Leoni. Oltre a quest’ultimo artista, del quale ha appena pubblicato per Ugo Bozzi Editore il catalogo ragionato delle opere nel volume Ottavio Leoni (1578-1630). Eccellente miniator di ritratti. Catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni (Roma, 2018), si interessa di pittura e grafica a Roma nei secoli XVII e XVIII. È autore del saggio “Irving Lavin. Bernini and the Unity of the Visual Arts, 1980”, in La riscoperta del Seicento. I libri fondativi, primo volume della collana Quaderni di Ricerca della Fondazione 1563 (Genova, 2017).
Nel 2015 è risultato vincitore di una Borsa di Alti Studi della Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura, con un progetto sulla figura di Elpidio Benedetti (1609-1690), agente della corona di Francia a Roma. La ricerca ha fatto nuova luce sulla committenza artistica e sull’attività di intermediario di Giulio Mazzarino e di Jean-Baptiste Colbert presso la Santa Sede. Attraverso un’approfondita ricognizione documentaria condotta negli archivi romani e parigini, Primarosa ha fatto luce su una figura chiave nella scena romana del secondo Seicento. Roberto Palermo è il fotografo senior delle Gallerie degli Uffizi a Firenze che ospita molte opere di Michelangelo, Caravaggio, Raffaello e Leonardo da Vinci. Nato in Puglia, Roberto ha studiato all'Università di Firenze. Dal 1999 realizza cataloghi d'arte per le Gallerie degli Uffizi specializzandosi nella riproduzione professionale di opere d'arte antiche in ambito grafico per scopi espositivi e nella scansione digitale di opere d'arte tramite sistemi UV/IR per uso in studio, ricerca e scopi scientifici. Michael Cross interviews Giorgio Bucci, CEO of Arteco Global and founder of the Italian Business Association of St Louis Giorgio, tell us something about yourself. Where are you from and what brought you to the United States? Specifically, tell us why you came to St Louis.
I was born and raised in Faenza in the province of Ravenna. I came to St Louis in 2003 to work on a quality control internship at a manufacturing company called Hydromat. This company had strong ties to an Italian company owned by my family. Once I finished my internship, I decided to stay in St Louis. I continued my learning path for a period of two years and obtained a Masters in Business and Administration at Saint Louis University. What prompted you to be an entrepreneur in the United States? Once I finished my studies at Saint Louis University, I had the intuition that the physical security market was growing rapidly. I gradually married the core business of Arteco, a company that, at the time was directed by my father, Carlo Bucci, from industrial electronics (PLC and CNC) to security in the field of intelligent video surveillance. I thus helped to open Arteco's first foreign subsidiary here in St Louis in 2005 because I was aware that the American market was more inclined to welcome new technologies than the Italian national market. Since that time I have always lived in St Louis and contributed to the growth of Arteco especially throughout the United States. Why did you choose St Louis to start your business? The fact that St Louis is a city which is perfectly geographically positioned to serve the American domestic market certainly has contributed to the opening of Arteco in the Midwest. Furthermore, at that time, I already had an advanced network of acquaintances in the St Louis area and therefore staying after my studies at Saint Louis University was undoubtedly the most logical step and a decision that proved to be a winning one. What are the key factors that have made your business so successful? In my opinion, companies are made up of people. Knowing how to choose the right people to surround yourself with is undoubtedly the most delicate and important choice for an entrepreneur. After almost 20 years in business, I can proudly say that the success of Arteco Global is primarily due to the people who have worked on the company's growth over the years. The new challenges we are working on are to move the professional video surveillance market towards a recording revenues model, with our software given on a monthly or quarterly fee. What advice would you like to give to aspiring Italian entrepreneurs when starting their business in the United States? I feel I can tell future entrepreneurs that it is precisely their motivation and determination which determines whether or not they will be successful. It is already difficult to be self-employed, plus at the beginning, here in the United States, there are further obstacles, such as work and residence permits, so you need to have even more determination and do more work. Where I come from, we say: "put your head down and pedal". How did the idea of the Italian Business Association of St Louis come about? The Italian community in St Louis is growing rapidly and is well organized with many volunteers, thanks to leaders with long term vision such as Cav. Franco Gianotti, Scott Hoff, Giovanna Leopardi and the interviewer himself, Michael Cross, whose idea it was to found this great community. I think that now the time is right to assist these many cultural and linguistic activities with business ones. The purpose of the Italian Business Association is simply to facilitate and help relationships between St Louis and Midwestern companies that want to enter the Italian market and vice versa between Italian companies that want to undertake a path in the United States and in particular in St Louis and in the Midwest. HELENA LABUS BACIC La Voce del Popolo Al Museo etnografico dell’Istria di Pisino è stata inaugurata la mostra “Veze – Legami – Istriani dopo la Seconda guerra mondiale – Istrani nakon 2. svjetskog rata”, un progetto espositivo realizzato in collaborazione con il Centro di ricerche storiche di Rovigno e con alcune Comunità degli Italiani. L’evento è parte del più ampio progetto europeo “Identity on the line” (Identità minacciate), nell’ambito del Programma “Europa creativa”, a cui collaborano ben sette Paesi: Croazia, Slovenia, Polonia, Lituania, Svezia, Danimarca e Norvegia. La narrazione del progetto – come spiegato nella presentazione dell’esposizione – è incentrata sulle migrazioni forzate avvenute in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, che hanno interessato decine di milioni di persone, costrette a lasciare ogni cosa in seguito agli eventi bellici, degli spostamenti dei confini e delle pulizie etniche o semplificazioni che avvennero all’epoca. Autrici della mostra sono Lidija Nikočević e Tamara Nikolić Đerić, mentre il design dell’allestimento e la sua versione online sono firmate dallo Studio Sonda.
L’evento è stato inaugurato dalla direttrice del Museo etnografico dell’Istria, Ivona Orlić, la quale ha dichiarato che la mostra parla degli istriani che se ne sono andati e di coloro che sono rimasti nella penisola nel secondo dopoguerra e ha voluto ringraziare le autrici che si sono cimentate con un tema difficile. Un periodo estremamente buio Il presidente dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, ha definito molto importante il progetto espositivo. Ha ricordato che secondo alcuni studi e ricerche sono stati 30 milioni i cittadini costretti alle migrazioni forzate, deportati, dispersi per volere di Hitler e Stalin tra il 1939 e il 1945, mentre altri 20 milioni sono stati oggetto di pulizia etnica e forzati trasferimenti nell’Europa che si andava liberando dal giogo nazi-fascista dal 1943 al 1948. “Un periodo particolarmente buio nella storia d’Europa e dell’umanità: l’oppressione e le violenze del regime nazi-fascista si accanirono in queste latitudini particolarmente contro i croati e gli sloveni, ma anche contro tutti gli oppositori del regime, italiani compresi – ha puntualizzato Tremul -. Si tratta di tragici accadimenti e orribili crimini che sono giustamente ricordati a futura memoria. Parimenti vanno ricordate le violenze e i crimini perpetuati dal regime comunista jugoslavo contro tutti gli oppositori sloveni e croati, in particolare contro la popolazione italiana, che sfociò nella tragedia delle foibe e portò all’espulsione forzata, all’esodo della maggior parte degli italiani, ma non solo. Oggi siamo pienamente coscienti che l’antifascismo e l’antitotalitarismo di qualsiasi colore, la difesa della democrazia e delle libertà fondamentali dell’uomo sono valori che vanno affermati e difesi con sempre maggior determinazione in un periodo storico in cui vanno crescendo”, ha osservato Tremul, aggiungendo che l’esodo nel secondo dopoguerra dall’Istria, ma anche da Fiume, Quarnero, Dalmazia ha profondamente mutato la fisionomia di queste terre. L’esodo – un fatto ancora sconosciuto “L’espulsione della popolazione italiana autoctona ha quasi cancellato le radici e l’identità profondamente plurale dell’Istria che non ha bisogno di aggettivazioni nazionali croato italiano sloveno. Sarebbe una nuova violenza in una realtà in cui le nostre genti si sono mescolate tra loro”, ha sottolineato Tremul, osservando come in Istria probabilmente non c’è famiglia che non abbia parenti italiani, croati, sloveni ed esuli italiani, sloveni e croati. “La vicenda dell’esodo è ancora sconosciuta alla maggior parte della popolazione istriana in Croazia e in Slovenia ed è ancora oggetto di tanti preconcetti, mistificazioni e falsificazioni. Devono invece essere conosciute e studiate. Meritano rispetto. Questo progetto rappresenta un inestimabile contributo alla conoscenza, al sapere, unici rimedi alle nuove battaglie che ancora oggi insanguinano il nostro Pianeta, dall’Ucraina alle guerre dimenticate, ai nascenti nuovi totalitarismi e tentazioni totalitarie di cui conosciamo i pericoli avendoli contrastati fisicamente fino a ieri”, ha precisato Tremul, ringraziando le autrici del progetto espositivo, il Centro di ricerche storiche di Rovigno, il Museo etnografico dell’Istria e le Comunità degli Italiani di Gallesano, Dignano e Valle e tutti coloro che hanno collaborato alla sua riuscita. Ha espresso quindi l’auspicio che la mostra possa venire allestita anche in altre città, incluse Lubiana e Zagabria. Un approccio partecipativo Lidija Nikočević, autrice della mostra assieme a Tamara Nikolić Đerić, ha ringraziato tutti i collaboratori al progetto e ha rilevato come in seno al Museo non si è voluto costruire una nuova verità sull’esodo, ma l’intento è stato quello di dare una voce a coloro che raramente vengono ascoltati. Si è detta compiaciuta per la collaborazione con il Centro di ricerche storiche di Rovigno, più precisamente con la storica Orietta Moscarda che ha scritto l’introduzione all’allestimento. “In questo contesto abbiamo voluto dare la possibilità di esprimersi alle istituzioni che si occupano di queste tematiche – ha puntualizzato -. Si tratta di un approccio partecipativo al progetto”, ha aggiunto Lidija Nikočević, rilevando come al progetto hanno contribuito anche due esponenti dei “rimasti”, Marina Pauletich e Giulia Cnapich. Tamara Nikolić Đerić ha ricordato che “due anni fa, all’inizio di quest’avventura, una persona mi disse ‘buona fortuna’ – ha osservato l’autrice -. Questo è un tema difficile che ha tante sfumature e tante posizioni diverse. La domanda era da dove cominciare, ma grazie all’approccio partecipativo di coloro che hanno dato il loro contributo e a coloro che hanno condiviso le loro memorie ed esperienze, oggi possiamo dire che noi del Museo etnografico dell’Istria abbiamo cominciato e abbiamo fatto questo primo passo per avvicinare i destini ai più giovani non solo in Istria, ma in tutta l’Europa. Speriamo di imparare dal passato e di guardare al futuro insieme tutelando il nostro patrimonio condiviso”. L’assessore alla Cultura della Regione istriana, Vladimir Torbica, ha definito molto emotiva e personale la mostra, in quanto gran parte della sua famiglia se n’è andata in Italia nel secondo dopoguerra. “Tutti noi siamo coscienti che molte cose in Istria non sarebbero le stesse se i nostri antenati fossero rimasti nella loro terra. Però, l’esodo c’è stato e posso soltanto ringraziare le autrici della mostra per aver ripreso a elaborare un tema che per tanto tempo era trascurato e credo che dovrebbe essere molto più presente e visibile in pubblico”, ha osservato Torbica, il quale ha invitato i soci delle varie CI a visitare la mostra. Intervista esclusiva di Michael Cross all'Onorevole Fucsia Nissoli Fitzgerald, Deputata al Parlamento Italiano, Circoscrizione Estero - Ripartizione Nord e Centro America. Quali sono le questioni che ritiene rilevanti e qual’è la sua visione a lungo termine in qualità di deputata al Parlamento eletto dai cittadini italiani che vivono nel Nord e Centro-America?
Ci sono questioni di carattere generale che riguardano gli italiani all'estero e questioni attinenti maggiormente le Comunità italiane del Nord e Centro America. Direi che sul piano istituzionale la cosa più rilevante e’ l'istituzione della Commissione Bicamerale per gli Italiani all'Estero che dovrebbe dare più risalto e forza, all'interno del Parlamento, alle politiche emigratorie. L'istituzione di tale commissione dovrebbe sopperire, con la sua forza istituzionale, la perdita del numero degli eletti all'estero così come sancito dalla riforma istituzionale. Poi ci sono le questioni che riguardano le politiche di non discriminazione fiscale che dovrebbero rendere a garantire anche a chi risiede all'estero di accedere alle agevolazioni IMU. Per tale questione ho presentato recentemente, una Proposta di Legge che è tesa a garantire il diritto alle esenzioni IMU prima casa anche per gli italiani all'estero nel rispetto dei trattati Ue, cosa che era stato di impedimento all’implementazione dei provvedimenti che garantivano l’esenzione IMU sulla prima casa dei pensionati italiani all'estero. Inoltre, credo che siano di particolare rilevanza le politiche di rafforzamento dei servizi consolari, quella per la cittadinanza, quelle per la promozione della lingua italiana, viva espressione del nostro patrimonio culturale, e quelle per la tutela e promozione del Made in Italy. A tal proposito, sono riuscita a far approvare un emendamento al Decreto Rilancio, per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, che prevede lo stanziamento di 5 milioni di euro aggiuntivi in favore delle Camere di Commercio Italiane all'Estero (CCIE). Sono fiera di questo risultato non solo per l'obiettivo raggiunto ma anche perché ho visto convergere sul mio emendamento anche altri colleghi, di altri schieramenti, che non erano riusciti a far avanzare le loro proposte emendative in merito alla stessa questione, cioè l’internazionalizzazione. Sono stata molto contenta di essere riuscita ad unire le diverse posizioni politiche per raggiungere un risultato importante per la promozione della nostra economia all'estero, dando sostegno alle CCIE che sono presenti sul territorio e sanno bene come aiutare le imprese italiane nei loro progetti di penetrazione commerciale all'estero. Come dico sempre: l'unione fa la forza! Per ultimo ma non per importanza vorrei citare anche l'attenzione alla tutela della figura di Colombo e del Columbus Day in USA, quale simbolo del nostro orgoglio identitario. Infatti, convinta dell'importanza di questo, ho presentato una mozione a Montecitorio per impegnare il Governo italiano ad agire, sul piano politico e diplomatico, per tutelare la memoria di Cristoforo Colombo oltre ogni forma di revisionismo storico. La mia mozione e' stata firmata dai parlamentari di tutti i gruppi politici e speriamo che possa arrivare presto in Aula per la discussione. Di seguito il link. Si è parlato molto della riforma strutturale dell'intero sistema di rappresentanza degli italiani all'estero. Cosa ne pensa e quali sono i cambiamenti che vorrebbe mettere in atto il prima possibile? Ecco, Lei tocca un aspetto fondamentale per la prosecuzione della vicenda politica degli italiani all'estero affinché possa continuare al meglio. Si tratta di riformare le modalità di voto correggendo tutte quelle storture che si sono manifestate in questi anni. In effetti, si sono fatti molti annunci ma pochi fatti ed oggi che c'è un eletto all'estero al governo credo che il tempo delle scuse sia finito! Bisogna agire subito per garantire la sicurezza del voto all'estero secondo i dettati della Costituzione affinche’ esso sia effettivamente libero, personale e segreto. E questo lo si può fare anche innovando con l'uso dei mezzi che le tecnologie informatiche ci mettono a disposizione: mi riferisco all'introduzione del voto elettronico a partire dalle elezioni dei Comites fino al voto per il Parlamento! I tempi sono maturi e peccato che non si utilizzata la prossima tornata elettorale per il referendum per fare una prima sperimentazione del voto elettronico! Tre anni fa, la nostra comunità ha lanciato il programma di lingua italiana di St Louis che ha riscontrato un successo sorprendente con oltre 200 partecipanti che frequentano regolarmente le lezioni d'italiano. Nel 1999, Franco Giannotti, nostro amico in comune, ha fondato il club “Italiano Per Piacere” come unico club di lingua italiana nel Midwest, che continua a prosperare fino ad oggi. Come puo’ vedere, la promozione della lingua italiana e’ tutt’ora una priorità per noi. Crediamo fermamente che la cultura si sviluppi intorno ad una lingua e che senza la lingua italiana una cultura italiana non possa essere trasmessa alle generazioni a venire. Potrebbe parlarci dell'importanza della promozione della lingua italiana negli Stati Uniti? Il programma di lingua italiana di St Louis, St Louis Italian Language Program, è un fiore all'occhiello per la promozione della lingua italiana in USA e ringrazio Franco Giannotti, Giovanna Leopardi e tutti coloro che si sono impegnati in questa bella avventura. E dico bella non a caso perché la lingua italiana, la lingua di Dante, e’ la lingua della bellezza! L'italiano è oggetto di grande interesse in USA sia da parte di chi ha origini italiane sia da parte di chi ama la cultura italiana e per questi l'italiano e’ uno strumento fondamentale per comprendere meglio la musica, l'arte e l'enogastronomia italiana. Infatti, nella scorsa Legislatura ho promosso un progetto in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione e la scuola Marconi di New York, con il Patrocinio del Consolato Generale d'Italia a New York, che ha permesso a due giovani studenti di origine italiane di fare un percorso di studio di tre mesi a Roma centrato sul rapporto tra lingua italiana ed enogastronomia. Un successo che credo sia da istituzionalizzare mettendo insieme le varie realtà educative presenti negli Stati Uniti ed in Italia! Michael Cross intervista Giorgio Bucci, CEO di Arteco Global e fondatore della Italian Business Association of St Louis Giorgio, raccontaci qualcosa di te. Da dove vieni e come sei arrivato negli Stati Uniti? Nello specifico, perché sei venuto a St Louis?
Sono nato e cresciuto a Faenza in provincia di Ravenna. Sono venuto a St Louis nel 2003 per lavorare ad un internship sul controllo qualità in una azienda manifatturiera chiamata Hydromat. Questa azienda aveva dei forti legami con una società italiana posseduta dalla mia famiglia. Una volta finito l’internship, ho deciso di rimanere a St Louis e ho proseguito il mio percorso di apprendimento con un corso di Master in Business and Administration presso la Saint Louis University per un periodo di due anni. Cosa ti ha spinto ad essere imprenditore negli Stati Uniti? Una volta terminato il mio percorso di studi alla Saint Louis University ho avuto l’intuizione che il mercato della sicurezza fisica fosse in forte crescita. Ho così gradualmente sposato il core business di Arteco, società a quell’epoca diretta da mio padre, Carlo Bucci, dall’elettronica industriale (PLC e CNC) alla sicurezza nel campo della videosorveglianza intelligente. Ho così contribuito ad aprire la prima filiale estera di Arteco qui a St Louis nel 2005 perché ero consapevole che il mercato americano era più propenso ad accogliere nuove tecnologie rispetto al mercato nazionale italiano. Da quel momento ho sempre vissuto a St Louis e contribuito alla crescita di Arteco soprattutto negli Stati Uniti. Come mai hai scelto St Louis per avviare la tua attività? Il fatto che St Louis sia geograficamente posizionata in maniera perfetta per servire il mercato nazionale americano ha sicuramente contribuito all’apertura di Arteco nel Midwest. Inoltre, in quell’epoca, avevo già un network di conoscenze avanzato nella città di St Louis e quindi rimanere dopo gli studi alla Saint Louis University e' stato senz’altro il passo più fisiologico e una decisione che si è rilevata vincente. Quali sono i fattori chiave che hanno portato la tua attività ad avere così tanto successo? A mio parere le aziende sono fatte di persone. Il saper scegliere il gruppo giusto è senz’altro la scelta più delicata ed importante per un imprenditore. Dopo quasi 20 anni di attività posso dire con orgoglio che il successo di Arteco Global è dovuto in primis dalle persone che in questi anni hanno lavorato alla crescita aziendale. La nuova sfida a cui stiamo lavorando è quella di spostare il mercato della videosorveglianza professionale verso un modello di recording revenues, con il nostro software dato a canone mensile o trimestrale. Quale consiglio vorresti dare agli aspiranti imprenditori italiani all'inizio della loro attività negli Stati Uniti? Mi sento di dire ai futuri imprenditori che sarà la loro motivazione e determinazione a determinare se avranno successo o meno. Già è difficile essere lavoratori autonomi, in più all’inizio, qui negli Stati Uniti ci sono ulteriori ostacoli, come permessi di lavoro e soggiorno, quindi serve ancora piu’ determinazione e lavoro. Dalle mie parti si dice: “testa bassa e pedalare”. Come è venuta l’idea della Italian Business Association of St Louis? Siccome la Comunità Italiana di St. Louis è in forte crescita ed è ben organizzata da molti volontari tra cui spiccano i nomi di Franco Gianotti, Scott Hoff, Giovanna Leopardi e lo stesso intervistatore Michael Cross, fondatore della comunità, ho pensato che fosse arrivato il momento di coadiuvare le attività culturali a quelle di business. Lo scopo della Italian Business Association è semplicemente quello di facilitare e aiutare i rapporti tra le aziende del Midwest che vogliono affacciarsi sul mercato italiano e viceversa tra le aziende Italiane che vogliono intraprendere un percorso negli Stati Uniti ed in particolare nel Midwest. FRANCESCA PERRONE VELVETMAG.IT Unica donna italiana vincitrice del Premio Nobel per la medicina e Senatrice della Repubblica Italiana: ricercatrice e professoressa alla Washington University in Saint Louis per 30 anni Rita Levi-Montalcini resta uno dei simboli più alti dell’emancipazione femminile; con la sua eleganza e il suo garbo, ma soprattutto con il suo intelletto, ha lottato per l’affermazione della donna in un ‘mondo fatto di uomini’. E con la sua pacatezza e tenacia ha ottenuto traguardi che le renderanno onore per sempre.
Unica donna italiana a vincere il Premio Nobel per la medicina; devota alla scienza e alla ricerca, Rita Levi-Montalcini è una delle personalità più grandi che il nostro secolo ha avuto l’onore di conoscere. Simbolo indiscusso dell’emancipazione femminile, si dedicò al suo lavoro anche durante il fascismo, clandestinamente. Figlia dell’ingegnere elettronico Adamo Levi e della pittrice Adele Montalcini, Rita Levi-Montalcini fu cresciuta con i valori della cultura e del pensiero critico. Valori che furono a fondamenta di tutta la sua vita e che contribuirono anche a renderla Senatrice della Repubblica Italiana nel 2001. Rita Levi-Montalcini nasce a Torino il 22 aprile del 1909 da una colta famiglia ebrea sefardita. Gli insegnamenti critici ereditati dai genitori la spingono ad intraprendere gli studi scientifici e iscriversi nel 1930 alla Facoltà di Medicina; decisione non accolta di buon grado dalla famiglia che, nonostante la grande cultura di base, la volevano forse moglie e madre. Ma sin dalla giovane età Rita Levi-Montalcini si dimostrò insofferente al ruolo stigmatizzato in cui le donne dei suoi tempi erano relegate. In una delle sue celebri dichiarazioni, passate alla storia, l’illustre scienziata affermò: “L’esperienza del ruolo subalterno che spettava alla donna in una società interamente gestita dagli uomini mi aveva convinto di non essere tagliata per fare la moglie“. Convinta da sempre che tra uomo e donna dovesse esistere l’uguaglianza intellettuale rivendicò questa causa per tutta la sua vita; causa alla quale accompagnò anche il costante interesse per la scienza e la ricerca. Alla Facoltà di Medicina iniziò a lavorare come internista, nell’istituto di Giuseppe Levi, dove iniziò gli studi sul sistema nervoso e nel 1936 si laureò con 110 e lode. Dopo la laura Rita Levi-Montalcini decise di intraprendere la specializzazione in Psichiatria e Neurologia; questi anni però coincisero ben presto con l’emanazione delle leggi razziali. Per una donna ebrea sefardita era praticamente impossibile svolgere il ruolo di scienziata. Nel 1938 il regime fascista obbligò la studiosa a lasciare l’Italia ed emigrare in Belgio; una vita fatta di sacrifici e coraggio che si racchiudono nell’essenza di una donna che non si fermò mai, nonostante tutto. Dopo l’arrivo in Belgio, poco mesi dopo la Germania nazista la costrinse ancora a spostarsi; partì alla volta di Bruxelles e in seguito fece ritorno a Torino. In Italia, nella sua camera da letto, continuò clandestinamente a fare ricerca con un piccolo laboratorio improvvisato. Inizio a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo insieme al suo mentore Giuseppe Levi; in quegli anni scoprirono l’apoptosi: il processo di morte cellulare controllato geneticamente. Ma fuori da quel laboratorio fortuito imperversava la Seconda Guerra Mondiale e la famiglia Levi-Montalcini, dopo il bombardamento di Torino nel 1941, fu costretta a rifugiarsi prima in campagna e poi a Firenze. E dopo la liberazione di Firenze, l’illustre scienziata lavorò come medico al servizio degli Alleati. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, Rita Levi-Montalcini fu invitata dal neuroembriologo Viktor Hamburger a proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. Quello che doveva essere un progetto di qualche mese si trasformò in un lavoro di trent’anni, venti dei quali la studiosa insegnò presso l’Università statunitense. Nel 1954 scoprì la NGF, una molecola proteica tumorale attiva nel sistema nervoso. Fu questa scoperta e i successivi studi condotti in merito che le valsero, con estremo onore e merito, il Premio Nobel per la Medicina nel 1986; le scoperte di Rita Levi-Montalcini furono fondamentali per la comprensione di alcuni tipi di tumore, così come di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Prima e unica donna italiana a ricevere questo onorificenza in questo campo, in tutta la sua vita Rita Levi-Montalcini fu impegnata in innumerevoli progetti; non solo scientifici, ma anche sociali come la lotta per la parità dei diritti per le donne. Attraverso la sua fondazione Rita Levi-Montalcini Onlus ha finanziato borse di studio a sostegno delle donne dei paesi in via di sviluppo; si è battuta per il diritto all’aborto e per l’emancipazione femminile in ogni campo. Consapevole che per molte donne non è mai stato facile imporsi alla pari in un ‘mondo di uomini’, Rita Levi-Montalcini ha dato il suo forte contributo in ogni istante della sua esistenza. “Per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale“; così il primo agosto del 2001 Rita Levi-Montalcini riceveva la nomina a Senatrice a vita. Parole che possiamo dire racchiudono l’essenza di quello che questa donna sempre elegante, sempre pacata, sempre garbatamente decisa ha rappresentato nella sua vita e anche dopo. Membro delle più prestigiose accademie scientifiche, come l’Accademia Nazionale dei Lincei, l’Accademia Pontificia (prima donna ad esservi ammessa), la National Academy of Sciences negli USA e la Royal Society, Rita Levi Montalcini ha continuato la sua ricerca fino a poco prima della sua morte. In occasione del compimento dei suoi cento anni dichiarò: “Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente“. E con quella forza e quell’intelletto che la contraddistinsero per tutta la vita morì il 30 dicembre 2012, consapevole, forse, che quello che la sua mente ha creato sarebbe vissuto per sempre. DIANA BARR St. Louis Business Journal Whitebridge Pet Brands, a St. Louis-based manufacturer of pet foods, treats and supplements, has merged with an Italian pet food brand that's a sibling under its new European owner.
Whitebridge, whose products include Tiki Pets brand cat and dog food, has completed a merger with Agras Pet Foods, the Genoa, Italy-based maker of Schesir brand pet food and treats for cats and dogs for the European market. The combined company will do business as Whitebridge Pet Brands, with Olivier Amice, Whitebridge's current CEO, as chief executive. Whitebridge was acquired in August 2021 by Belgium-based investment firm NXMH, which had bought a 60% stake in Agras in 2017, according to trade journal Petfood Industry News. Both businesses now are fully owned by NXMH, according to a Monday press release. Whitebridge will continue to operate from both its St. Louis and Genoa offices, according to the release. Whitebridge also has manufacturing operations in Joplin, Missouri; Woodinville, Washington; and Copenhagen, Denmark. Agras has manufacturing operations in Neive, Italy. “Our goal has always been to build a global natural health nutrition company. Together, Whitebridge and Agras make a major leap toward that goal with sales in more than fifty countries and four plants that service a larger geographic footprint," Amice said in the press release. "More importantly, Agras and Whitebridge are compatible, with talented teams, a shared nutritional belief of natural and minimally processed pet food and a portfolio of strong, purposeful brands delivering on the promise of health and happiness for dogs and cats." Amice added that the merger will allow the company "to accelerate our development with more innovation made available to more markets." MICHAEL CROSS Fondatore della comunità italiana di St Louis Conoscete expat italiani a St Louis? Io ne conosco molti. Non vi domandate mai come si trovano in un luogo diverso da quello in cui sono nati? Io chiedo spesso ai miei amici e conoscenti che si sono trasferiti all’estero, e specificamente qui a St Louis, se gli manca qualcosa in particolare dell’Italia e mi incuriosisce capire il motivo che li ha spinti a crearsi la propria vita in un posto diverso dal bel paese. Non è solo la ricerca del lavoro, o forse almeno non come lo pensiamo noi. Chi decide di cambiare nazione è spinto da un desiderio di crescita e di miglioramento che pensa di non trovare in Italia. Perchè? E cosa realmente trovano una volta arrivati a destinazione? La nuova residenza, diventa davvero casa o resta sempre un legame fortissimo col luogo da cui si è partiti? Ho fatto 3 domande ad alcuni miei contatti. Potevano essercene molte di più. Si poteva dedicare ad ognuno di loro, con le proprie esperienze, un articolo a parte. Ma il mio intento è solo quello di dare voce alla mia prima domanda: cosa gli manca dell’Italia? A me cosa mancherebbe? SILVIA SQUILLACE 1. Dove vivevi prima di trasferirti e dove vivi ora? Sono nata e cresciuta a Roma, ora vivo a St Louis, Missouri 2. Perché hai scelto di vivere fuori dall’Italia? Durante il Dottorato ho avuto la possibilità di trascorrere un anno presso la Saint Louis University per svolgere un progetto di ricerca in collaborazione con l'università La Sapienza di Roma. Quell'esperienza in qualche modo mi ha cambiato la vita, prima di allora non avevo mai seriamente pensato di vivere all'estero. Quando mi è stato offerto un lavoro da ricercatrice alla SLU non ho esitato un istante. Quindi direi che ho scelto di vivere all'estero per lavoro, ma con il tempo ho imparato anche ad apprezzare la città ed i nuovi ritmi di vita. 3. Cosa ti manca di più dell’Italia? Un luogo, una sensazione… Sicuramente famiglia e amici sono al primo posto. Mi mancano molto anche i nostri piccoli borghi medievali, le feste di paese, quel senso di appartenenza che si rinnova nelle tradizioni regionali. Roma poi è un museo a cielo aperto, l'Italia è così piena di storia e arte, è incredibile come in una striscia di terra così piccola possa esserci una varietà così immensa di panorami, sapori e tradizioni. Tuttavia nel tempo St Louis è diventata per me come una seconda casa e gli amici che ho trovato qui mi fanno sentire in famiglia, e questo è davvero fondamentale per chi come me si trasferisce all'estero. MASSIMILIANO SIMONAZZI 1. Dove vivevi prima di trasferirti e dove vivi ora? Prima di trasferirmi vivevo in un paese in provincia di Reggio Emilia. Un paesino tranquillo vicino alla città di Reggio e Parma. Adesso vivo a St Louis nelle prossimità della Saint Louis University. Mi trovo molto bene e mi piace molto la location. 2. Perché hai scelto di vivere fuori dall’Italia? La mia scelta di lasciare l’Italia è stata una scelta basata sulle potenzialità del mio futuro. Venire a studiare in America e provare a lavorare in questa nazione è qualcosa di imparagonabile. L’America ti può davvero fornire delle opportunità incredibili, motivo per il quale ho voluto prendere questa opportunità, sfruttare il calcio come risorsa per entrare nelle università Americane e successivamente crearmi una nuova vita qui. 3. Cosa ti manca di più dell’Italia? Un luogo, una sensazione… Sinceramente mi piace molto la mia vita in America e quindi sento molto meno la mancanza dell’Italia. Sono sempre stato abituato a spostamenti già quando ero in Italia, quindi non sono mai stato legato a posti o cose. Diciamo che ovviamente la cosa che mi manca di più è la famiglia e i miei amici più stretti. SARA DI BENEDETTO 1. Dove vivevi prima di trasferirti e dove vivi ora? Vivevo in Italia, a Marina di Massa, in Toscana, fino a gennaio 2017 quando mi sono trasferita a St Louis, MO insieme a mio marito e alla nostra prima bambina, Lucia, ancora nella mia pancia. 2. Perché hai scelto di vivere fuori dall’Italia? Sono sempre stata curiosa e le mie scelte mosse da uno spirito avventuroso. Ho vissuto in UK per oltre 3 anni durante un'esperienza Erasmus e per il mio master in Plant Molecular Biology. Nel 2016 avevo da poco avviato la mia start up www.coccoon.it in Italia e insieme a mio marito eravamo alla ricerca di un posto nel mondo dove poter inseguire il nostro sogno di espandere il business e crescere i nostri figli bilingui. Ci siamo trasferiti a St Louis, Missouri grazie ad un'ottima proposta di lavoro per mio marito, come Plant Scientist, presso uno dei centri di eccellenza nel mondo nel settore delle Plant Sciences. L'opportunità giusta nel momento giusto: abbiamo impacchettato le nostre vite e con un salto nel vuoto, all'ottavo mese di gravidanza, siamo atterrati in USA. 3. Cosa ti manca di più dell’Italia? Un luogo, una sensazione… St Louis ci ha accolti calorosamente, è una città a misura di famiglia, e avendo partorito entrambi i miei due bambini qui, questo è il mio nido e io qui mi sento a casa. Quello che forse più mi manca dell'Italia sono le piazze presenti nei centri storici di tutte le città italiane (ed europee) e il profumo della macchia mediterranea. MARCO PIGNATELLI & FEDERICA LUCANTONIO 1. Dove vivevate prima di trasferirvi e dove vivete ora? Roma e Cisterna di Latina e adesso viviamo a St Louis. 2. Perché avete scelto di vivere fuori dall’Italia? Tutto è iniziato con una breve esperienza di lavoro che si è tramutata in una scelta di voler continuare a fare ricerca negli Stati Uniti. 3. Cosa vi manca di più dell’Italia? Un luogo, una sensazione… La famiglia e gli amici. Certo un bell’aperitivo a Campo dei fiori non guasterebbe ogni tanto. ANDREA SPADAFORA 1. Dove vivevi prima di trasferirti e dove vivi ora? Ho vissuto a Salerno, Regione Campania, dalla nascita fino a 26 anni. Dopo aver viaggiato in varie parti del mondo, tra cui Thailandia e Nuova Zelanda, ho deciso poi di trasferirmi nella zona di Baltimore/Washington DC Metro area per lavoro. Ho poi vissuto cinque anni a Fort Collins, Colorado e adesso sto per trasferirmi permanentemente a St Louis. 2. Perché hai scelto di vivere fuori dall’Italia? Sicuramente per cercare e ottenere migliori opportunità lavorative, ottimizzare la comunicazione in Inglese che è essenziale in tutti i contesti sociali, ma soprattutto per soddisfare il mio naturale spirito avventuriero. Devo dire che questa scelta è costata sia a me che la mia famiglia tanti sacrifici e so che c'è ancora tanto lavoro da fare per concretizzare i nostri sforzi. 3. Cosa ti manca di più dell’Italia? Un luogo, una sensazione… Più di tutto mi manca la possibilità di sentire nel quotidiano i diversi accenti regionali (i miei preferiti sono il dialetto fiorentino e quello romanesco) e poi il nostro modo unico di esprimere calore umano tra le persone. Mi manca anche il nostro particolare senso dello humor che molto spesso è intraducibile da queste parti (non importa quanto si possa studiare una lingua). Penso che i luoghi, il cibo, il mare, la musica, l'arte e i monumenti, siano importanti, ma ciò che rimane più impresso nelle nostre menti sono le emozioni che si creano nei rapporti tra le persone. MICHELE BOLDRIN, PhD Professore presso la Washington University di Saint Louis Si sprecano ormai gli scritti tesi a dimostrare che i problemi concreti dell’economia italiana e di altre economie occidentali dipendono da una qualche generale proprietà del sistema “capitalista” e, in particolare, dagli errori analitici di una supposta “teoria economica dominante” che di questo sistema sarebbe, al contempo, apologeta e creatrice.
L’articolo pubblicato su Econopoly e firmato da Riccardo D’Orsi qualche settimana addietro, costituisce un caso esemplare di tale diffusa teoria che alimenta, in buona parte della sinistra italiana, fantasie tanto antiche quanto dannose. Secondo l’autore dell’articolo esiste un corpus teorico dominante che (a) ha determinato le politiche economiche degli ultimi anni e, (b) si fonda su una serie di falsi assiomi, i seguenti. 1. L’economia di mercato tende spontaneamente alla piena occupazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro). 2. Data la relazione inversa tra salari e occupazione, flessibilizzando il mercato del lavoro si ottiene più alta occupazione, più alta competitività internazionale e maggiore attrattività del mercato interno. 3. Sindacati e istituti regolatori rappresentano una distorsione di meccanismi altrimenti efficienti. 4. La domanda aggregata non ha alcun ruolo nel determinare l’andamento di lungo periodo della produttività, la quale viene determinata dal lato dell’offerta. Dalla messa in pratica di politiche basate su presupposti falsi ed argomenti logici erronei come i precedenti conseguono tutti, o quasi, i guai economico-sociali che ci affliggono. Vi sono qui tre aspetti che vanno considerati, anzi quattro. (i) In che senso le affermazioni precedenti definiscono la struttura portante della teoria economica “dominante”? (ii) In che maniera tali assiomi informano le politiche economiche adottate in Italia ed in Europa durante gli ultimi, diciamo 10-50 anni? (iii) Che relazione esiste fra le politiche economiche effettivamente adottate ed i fattori critici reali che l’autore dell’articolo attribuisce all’applicazione politica degli assiomi 1-4? Il quarto aspetto (che non tratteremo ma a cui sarebbe interessante poter dedicare una riflessione più ampia) riguarda la supposta relazione fra questo “sistema capitalista” – che non viene mai definito ma muta sempre – e la supposta “teoria economica dominante” che discenderebbe dalle quattro scemenze elencate sopra. Il pattern argomentativo è un po’ sempre lo stesso ed inizia dalla produttività. Secondo l’autore dell’articolo essa in Italia ha smesso di crescere negli anni ’90 a causa del consolidamento fiscale che fece seguito alla crisi finanziaria del 1992 e da lì non ha più potuto riprendersi a causa della continua austerità che ha bloccato la spesa pubblica. Prima di venire alla fantasiosa teoria, guardiamo i fatti. Iniziamo con due misure degli indici di produttività italiani. Tante cose si possono apprendere da questi grafici ma non che la crescita della produttività si sia arrestata negli anni ‘90. Si era fermata almeno 10-15 anni prima, in piena esplosione del debito pubblico, quella stessa esplosione che causò la crisi finanziaria del 1992. Che la TFP misurata in PPP arresti la propria crescita nel 1980 e da allora cada continuamente mette anche fine alla comica idea secondo cui svalutando si inducano guadagni di produttività aggregati. Nota per i lettori maggiormente curiosi: quest’ultima invenzione costituisce un pilastro portante della strana teoria che gli autori dell’articolo cercano di sostenere. Gli anni ‘80 del secolo scorso furono puntellati da continue “svalutazioni competitive” volute dai governi CAF, i cui risultati (assieme a quelli dell’espansione del debito) sono ora tanto palesi quanto drammatici. Un terzo indice di produttività merita la nostra attenzione prima di passare alla supposta “teoria” sottesa alle affermazioni che i fatti contraddicono. Quello che segue è un indice della produttività oraria reale del lavoro italiano, in media fra i vari settori. Svariate cose saltano agli occhi, su alcune di esse torneremo. Qui ci basta evidenziare che la crescita maggiore degli ultimi 40 anni avviene proprio in coincidenza dell’aggiustamento fiscale (la prima austerità) post 1992 mentre la successiva “bonanza” berlusconian-tremontiana iniziata nel 2001 apre le porte alla prolungata battuta d’arresto che ancora oggi sperimentiamo (1). Veniamo ora alla base teorica degli “eventi” che abbiamo appena provato non essere avvenuti. Il lettore si chiederà che ragioni vi siano per perdere ulteriore tempo, visto che i fatti su cui la supposta teoria si fonda non sussistono. La ragione è presto detta: in un certo mondo che intende definirsi di “sinistra” ed include i responsabili economici di Lega e Fratelli d’Italia (nel Bel Paese tutto oramai è possibile) ci si appiglia a qualsiasi stramberia pur di chiedere maggior debito pubblico. Un vecchio e confuso articolo di Kaldor che utilizzava una (dubbiosa assai) regolarità empirica evidenziata anni prima da Verdoorn sostenne che esistono rendimenti crescenti di scala aggregati. C’era un fondamento teorico per questa affermazione? No: l’analisi storica e teorica oltre che microeconomica, da Joseph Alois Schumpeter in poi, aveva mostrato e continua a mostrare che le innovazioni e solamente le innovazioni generano crescita economica nel lungo periodo. E che, infatti, quello che a Marshall ed altri poteva aver suggerito l’esistenza di rendimenti di scala crescenti in certe industrie (elettriche, acciaio, chimica, trasporti navali, eccetera) altro non era che il rapido cambiamento tecnologico che avevano sperimentato. Verdoorn usa dei dati, piuttosto poveri e mal assortiti, per stimare una relazione statistica fra variazioni del PIL e della produttività del lavoro. La relazione ovviamente esiste, visto che una enorme letteratura empirica su dati di tutto il mondo dice che il reddito per capita cresce solo quando la produttività lo fa. Kaldor usò questo fatto per cercare di estrarne una causalità inversa. Se aumenta la domanda (esogenamente, per spesa pubblica) allora aumenta anche la produttività perché i rendimenti aggregati di scale sono crescenti. Evidenza a sostegno? Nessuna, ma se ignori il cambiamento tecnologico che avviene nel primo mezzo secolo XX (o anche nel secondo) e fai finta che la tecnologia del 1966 (anno del paper di Kaldor) sia la stessa del 1911 (anno del libro di JAS) allora puoi anche sognare che se voghiamo a milioni su migliaia di barconi diventiamo veloci come un Airbus 380. A Kaldor (che era un Lord molto di sinistra) interessava raccontare che il Regno Unito aveva bisogno di maggior spesa pubblica per uscire dall’incipiente stagnazione da cui le opposte politiche di un’antipatica signora lo fecero invece uscire circa un decennio dopo. L’argomento di Kaldor – da allora trattato come un dogma da chi pensa che un debito pubblico crescente garantisca sia il socialismo che la felicità – venne ulteriormente specializzato dal medesimo e da tal Thirlwall in un’altra legge secondo cui la crescita di un paese dipende essenzialmente dalla sua bilancia dei pagamenti. Se esporti tanto ed importi poco cresci, altrimenti no; Bagnai’s economics, insomma. Da svariati decenni la “legge di Bagnai” viene banalmente falsificata dagli USA, da UK, dalla Cina, dal Giappone e… dall’Italia fra gli altrimolti paesi, ma fa nulla (2). Quella stessa “legge”, per mano del CEPAL ed altre fantasiose scuole di economia alternativa, va distruggendo, da circa 70 anni, i sistemi economici dei paesi dell’America Latina i quali, perseguendo “export-led growth & import-substitution”, rimangono in una povertà, sia relativa che assoluta, apparentemente senza fine. Questa fantasiosa teoria della “crescita tirata dal debito pubblico e dalla svalutazione” non dedica attenzione alcuna alle competenze tecniche della popolazione, alle tasse e alla burocrazia che scoraggiano qualsiasi tipo di attività. Ugualmente, nessuna parola viene spesa sugli investimenti diretti esteri che portano know how e tecnologia o sul creare un tessuto fertile per gli investimenti interni. Si rifletta, per un breve momento, solo su questo dato: prima della pandemia le imprese a controllo estero rappresentavano lo 0,3% del totale, garantendo l’8% degli occupati (1,4 milioni di addetti), generando il 15% del valore aggiunto totale e il 22,4% della spesa in ricerca e sviluppo nel nostro paese. Gli investimenti diretti esteri, nel periodo 2013-2018, ammontano a meno della metà di quelli diretti verso la Spagna e ci collocano all’ultimo posto delle principali economie europee. Ma veniamo agli assiomi erronei. Che essi siano gli assiomi di una qualche teoria economica esistente i nostri non lo provano, per la semplice ragione che non potrebbero. Ecco brevemente il perché. 1. Se mai fosse esistita in passato, l’economia “di libero mercato” oggi non esiste di certo. Quali possano essere le proprietà di un sistema economico privo di alcuna forma statale lo discuteremo se e quando dovesse mai profilarsi. Nei sistemi economici oggi esistenti sulla terra lo “stato”, nelle sue mille articolazioni, interviene in modo dominante. In Italia, per esempio, il sistema politico controlla tra i 2⁄3 ed i 3⁄4 del PIL annuale. Se si intende parlare di politiche economiche in Italia oggi, di questo paese reale occorre parlare. Lasciamo le disquisizioni teoriche sui modelli astratti a chi sia in grado di farle con profitto e chiediamoci, con gli autori dell’articolo, “Questo sistema non sembra portare neanche lontanamente alla piena occupazione. Perché?” Sarebbero in grado di spiegarci quali sono le cause? 2. Da nessuna parte alcuno ha mai teorizzato una “flessibilizzazione assoluta” (concetto privo di senso visto che pacta sunt servanda ed i contratti di lavoro pacta sono) del mercato del lavoro. Si è invece discusso delle forti disparità di trattamento fiscale, contributivo e contrattuale fra un settore e l’altro (pubblico vs privato, micro-mini aziende vs medio-grandi), fra gruppi di età (giovani vs anziani, insider vs outsider) e fra aree economiche (trattamenti uguali in condizioni diverse, Nord vs Sud). Ognuno di questi trattamenti differenziali, prodotto di un’incessante e secolare attività legislativa, andrebbero discussi nei loro meriti specifici e l’articolo in questione non lo fa. Inventa una teoria neoliberista del mercato del lavoro assolutamente flessibile che né in Italia né in altri paesi occidentali è mai stata proposta. Che senso ha discutere di un’invenzione? 3. Quando si parla di sindacati si parla di tutti i sindacati, non solo di CGIL-CISL-UIL o, più in generale, dei sindacati dei lavoratori dipendenti. Il ruolo delle organizzazioni di categoria, da Confindustria e Confcommercio alla CGIL, nella gestione del mercato del lavoro italiano è cruciale e va affrontata. Non sono né il male totale né il bene ed il loro ruolo va discusso caso per caso. Non vi è dubbio, come una letteratura enorme ed unanime dimostra, che le eccessive rigidità ed i privilegi introdotti dalle varie organizzazioni di categoria in certi settori dell’economia abbiano costruito un’economia duale che svantaggia in particolare i giovani. E non vi è, simmetricamente, alcun dubbio che in altri settori del sistema economico italiano manchino garanzie contrattuali e salari degni. Se si vuole ragionare su questi temi occorre essere precisi e specifici, non fare vaghe affermazioni ideologiche generali che occultano la realtà dei fatti. 4. Forse gli autori dell’articolo non se ne rendono conto ma, nel lungo periodo, non esiste la “domanda aggregata” indipendente dall’offerta aggregata. Nel lungo periodo esiste solo la capacità di un sistema economico di creare reddito attraverso la produzione di beni e servizi vendibili a prezzi superiori ai costi. E questo determina sia domanda che offerta. L’affermazione secondo cui alimentando la domanda di beni attraverso trasferimenti pubblici determinerebbe la crescita della produttività non è solo contraria, come abbiamo mostrato, ad ogni pezzo di evidenza storica ma è anche e semplicemente vuota sul piano logico. Ovviamente i critici della “economia dominante”, possono sempre provare che i dati da noi riportati sono erronei e che una misurazione corretta delle statistiche economiche italiane mostra che la crescita del debito e della spesa pubblica ha fatto aumentare la produttività quando aumentava, ovvero tra la fine degli anni ‘40 e la fine degli anni ‘70. Buona fortuna. NOTE 1) Nota per i non addetti ai lavori. Mentre la TFP cerca di stimare l’impatto aggregato del cambiamento tecnologico “di per se”, la produttività oraria risponde anche a variazioni nell’ammontare di capitale per lavoratore ed alla crescita dei salari reali nei settori in cui il PIL viene calcolato al “costo dei fattori”, anche in assenza di variazioni della produttivita’ reale (nel settore pubblico in particolare). Questo dovrebbe aiutare a capire per quale ragione la produttività del lavoro inizi a rallentare parecchio dopo lo stop nella crescita della TFP. 2) Telegraficamente: USA cresce con deficit di bilancia dei pagamenti dal 1970, idem UK. Più crescono più negativa è la loro bilancia commerciale, mentre questo non vale per il deficit pubblico. Esattamente l’opposto di Kaldor! In Italia, dal 1990 in poi, la correlazione zero; prima è il contrario. Idem per Cina e Giappone che non cresce dal 1993 o cresce poco ma la cui bilancia commerciale rimane altamente positiva. I dati son facili da trovare in rete. |
AuthorsGiovanna Leopardi Year
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